mercoledì 4 aprile 2012

Giornata Internazionale del lavoro invisibile

Ieri, 3 aprile, è stata la Giornata Internazionale del lavoro invisibile. Non si tratta del lavoro nero, ma del lavoro svolto in casa a favore della famiglia, prevalentemente dalle donne, e che non rientra nel limitato e fuorviante calcolo del Pil.
L'iniziativa è nata nove anni fa (o dodici, non sono riuscita ad appurarlo con certezza) in Canada e viene celebrata il primo martedì del mese di aprile.
L'ho scoperta per caso e avrei voluto parlarne ieri, ma non ci sono riuscita anche a causa dei dentini che stanno spuntando alla mia bambina e che l'hanno fatta piangere ed essere agitata per gran parte del giorno.
Qui e qui si trovano alcune informazioni sulle iniziative promosse per la giornata dal Moica (Movimento italiano casalinghe), in particolare dalla sezione delle Marche, che ad Osimo ha contribuito a realizzare una mostra cine-fotografica dal titolo "Dietro la porta chiusa", aperta fino al 6 aprile.
Perchè mi sono interessata a questa giornata? Non solo perchè in questo periodo mi ritrovo ad essere principalmente una casalinga (pur continuando a fare lavori di battitura testi e a studiare per tornare ad insegnare), ma anche perchè è giunto il momento per me di fare i conti proprio con questa parola - CASALINGA -, che per anni è stata la fonte di tante paure ed ansie e per riattribuirle un nuovo valore. Mi spiego meglio e, per farlo, devo un po' uscire allo scoperto.
Mia madre è casalinga ed io, pur volendole molto bene, col tempo ho attribuito al suo essere casalinga tutta una serie di pensieri ed atteggiamenti in cui non mi riconoscevo e che non avrei mai voluto avere. Niente di male, certo, ma il problema è che per me l'idea di diventare una casalinga con il passare degli anni era diventato un incubo. Nei miei anni di precariato, in cui, come ho scritto altrove, mi sono ritrovata a svolgere lavori che avevano a che fare con l'educazione, il pensiero fisso era di trovare un lavoro stabile per non dover essere casalinga. In quest'ottica il pensiero di un figlio era per me qualcosa di impensabile, perchè lo vedevo come la fine di ogni possibile lavoro, inconciliabile con la realizzazione professionale. Nel momento in cui una vocina dentro di me aveva iniziato a dirmi che forse era il momento di avere un figlio (il famoso orologio biologico), razionalmente io ho affermato fortemente che non era assolutamente il momento per averlo, fino a quando anche la mia mente ha dovuto cedere a quello che desiderava il mio cuore. Tanto è vero che molti conoscenti si sono stupiti di sapere che avevamo deciso di avere un bambino.
Durante la gravidanza sono stata ancora a lungo vessata da quel pensiero e solo nell'ultimissimo periodo sono riuscita a godermi il fatto di stare a casa (poco prima che scattasse la maternità obbligatoria, minacce di parto prematuro mi hanno costretta a rimanere a casa da scuola dove lavoravo per una supplenza).
Poi è nata la mia bambina. Sono seguiti mesi caotici, strani, bellissimi e faticosi. In questi mesi piano piano quel pensiero fisso si è affievolito ed è passato. Ho riscoperto il valore che si cela dietro l'accudimento della propria casa e della propria famiglia e sono stata felice di avere avuto la fortuna di permettermi di rimanere a casa grazie al lavoro del mio compagno.
Tutto questo mi ha portato a riflettere sulla posizione della donna e sul lavoro. E' stato calcolato che il lavoro invisibile produce, in maniera virtuale, un terzo del Pil italiano ed il Moica richiede che venga inserito nel calcolo del Pil.
Complice - credo - la lettura dei testi di Latouche sulla decrescita, io non sono d'accordo con il Moica. O, meglio, non sono d'accordo sul Pil, che viene considerato generalmente indice del benessere, ma che è in realtà commisurato al nostro consumo di merci e che calcola la nostra felicità attraverso il valore monetario. Esiste un altro indice, in uso dal 1995, il Gpi (Genuine Progress Indictor), che tiene conto anche del lavoro domestico e del volontariato in termini monetari. Non so se questo sia sufficiente a prendere in oconsiderazione il lavoro domestico, ma non credo.
Sta di fatto che il lavoro che si svolge per la casa e per la famiglia non viene considerato un lavoro perchè non produce. E' così che il mondo in cui viviamo ci costringe a concepirlo e a ciò siamo abituati fin da piccoli.
Una donna che lavora sembra avere più valore di una che sta solo a casa.
Oggi come oggi desidero comunque tornare a lavorare ed ho scelto di seguire quella che penso sia la mia strada - anche se ancora lunga -, quella dell'insegnamento, che spero mi permetterà anche di stare un po' con mia figlia. Al tempo stesso ho fatto pace con me stessa e con la parola "casalinga", riscoprendone il valore e l'estrema ricchezza.
La decisione ed il cambiamento rispetto al lavoro sono arrivati proprio con la mia bambina. Stavo cercando lavoro ed al tempo stesso mi stavo preparando per il test di ammissione al corso di laurea per l'insegnamento. Inaspettatamente un colloquio era andato bene e dovevo iniziare a lavorare in una gioielleria. Ho saputo però di essere incinta ed ero felicissima di esserci riuscita così velocemente. Non me la sono sentita di non dire nulla al mio futuro datore di lavoro e così, prima della firma del contratto, per onestà gliel'ho detto, dichiarandomi comunque disponibile a lavorare. Ovviamente sono stata ringraziata e del contratto non se n'è fatto più nulla. Sono contenta così. Contenta di essere stata onesta - per alcuni sciocca - e contenta perchè, oltre ad avere la mia bambina, ho potuto fare il test ed incominciare questo nuovo percorso di studio per tornare ad insegnare.
Chiudo con un nitido ricordo della mia infanzia. Quando frequentavo la scuola materna, mia madre mi veniva sempre a prendere per l'ora di pranzo. Ricordo perfettamente lo sguardo triste e un po' invidioso di coloro che dovevano rimanere ancora perchè le loro madri erano al lavoro e la mia gioia che scoppiava in petto all'idea che io invece potevo andare a casa con la mia mamma, facendomi sentire fortunata e privilegiata, oltre che provare pena per i compagni rimasti a guardarmi mentre mi allontanavo.
Spero di raggiungere una giusta via di mezzo con mia figlia.

2 commenti:

Manu ha detto...

Carissima Tamara, ho letto con piacere questo post e ti ringrazio di avermelo segnalato. Per molti versi la nostra storia è simile. Anche mia madre è ed è sempre stata casalinga e ricordo nettamente che dentro di me dicevo :"io non lo sarò mai". Anch'io attribuivo alla parola significati che, ora lo so, mi avevano insegnato ad attribuirle. Era ed è tuttora il pensiero comune a bollare la casalinga come "una che sta a casa a fare niente". Oggi tu, io e milioni di altre donne e mamme sappiamo che non è così. Il lavoro di una mamma casalinga non prevede mai pause e la impegna su molti fronti. Magari non sarà un lavoro di concetto, certo, ma esige comunque il suo tributo a livello di stress fisico e mentale. Io ho sempre vissuto una scissione. Nel senso che volevo lavorare ed essere indipendente, ma desideravo anche dei figli e volevo stare loro vicina. Quando, alla fine, ho dovuto scegliere ho scelto loro. Poi, i motivi delle scelte sono moltissimi e non si possono esaminare tutti in questa sede. Il succo del discorso però è che oggi sono felice di quello che faccio. A volte vorrei riprendere il lavoro, per dare un contributo alle spese sempre crescenti, ma poi i bisogni delle bambine mi riportano con i piedi per terra. Hanno ancora bisogno di me e se, stringendo i denti, ce la facciamo ancora allora continuerò a fare la casalinga ancora finchè ce ne sarà bisogno. Nei momenti negativi penso di aver rinuciato ai miei sogni, ma poi mi riprendo e vedo che non ci ho rinuciato ma li ho solo sistituiti con altri sogni.

Tamara ha detto...

Carissima Manu, ero convinta di averti già lasciato il mio commento di risposta, ma mi sono resa conto che non ne è rimasta traccia. Sarà la mia tremenda connessione con la pennetta, che funziona una volta sì etre volte no. Allora torno a scriverti più o meno quello che già avevo scritto prima.
Come dici tu, il lavoro di casalinga è impegnativo e molto. Stare dietro ai bambini comporta un impegno continuo, praticamente senza interruzione.
Ognuno deve essere libero di fare le proprie scelte senza dover essere "bollato" in qualche modo. Come ti dicevo, io sto studiando di nuovo, mi occupo della piccola e faccio lavoretti di battitura testi, eppure, quando ho incontrato un amico che non vedevo da tempo, mi ha detto:"Quindi tu adesso non stai facendo niente." Questo solo perchè non ho un contratto stabile con orari fissi.
E' bello quello che tu dici, cioè che non hai rinunciato ai tuoi sogni, ma li hai solo sostituiti con altri. Poi magari quei sogni ritorneranno e tu tornerai ad inseguirli. Oppure questi rimarranno i tuoi sogni.
Mi hai fatto venire in mente un film che ho visto un bel po' di tempo fa, non so se lo hai visto, "Mona Lisa Smile". Niente di che, certo, però se lo hai visto capirai a che mi riferisco.
Ti ringrazio tantissimo per aver trovato il tempo di leggermi e lasciarmi un commento.
Un abbraccio forte