Dove l'arredamento è ancora quello degli anni '60-'70. Dove la musica scaturisce da una radio grigia con mangianastri. Dove c'è l'angolo dei bambini con uno sgabello a cui è attaccata una sagoma ritagliata nel compensato a forma di testa di cavallo. Dove ci sono un po' di riviste, ma non molte e quasi sempre le stesse. Dove trovi le signore che si vanno a far sistemare i capelli per la domenica, assolutamente corti, come li portano sempre le signore, che sembrano aver rinunciato per l'età alla loro antica arma di seduzione. Dove Barbara, la ragazza che aiuta per lo shampoo e le tinte, ha qualche anno più di me ed è sempre gentile e con il sorriso genuino. Dove non c'è il brusio dei pettegolezzi e delle chiacchiere sulle ultime vicende dei vip. Dove c'è, appunto, Walter, un signore dai capelli bianchi e grigi e dalle rughe buone intorno agli occhi ed alla bocca, che ci mette tempo, pazienza, dedizione per fare un semplice taglio o una semplice piega. A volte fin troppo tempo, perchè passa e ripassa con le forbici, con la spazzola e il phon, alla ricerca di una perfezione certosina. La mia tendenza a frequentare poco il parrucchiere mi è rimasta comunque addosso, ma, andando da Walter, so che almeno posso fare un viaggio nel tempo e rallentarlo a mio piacere, godendomi il suono dell'asciugacapelli e dimenticando in un oblio sonnolento tutte le cose da fare. Per questo oggi, a distanza di non so nemmeno io quanto, sono tornata a tagliare i capelli che ormai non avevano più una forma, con la prospettiva poi di regalarmi il resto della mattinata, dedicandolo ancora a me stessa. La tappa obbligata è stata la libreria. Anzi, due librerie. A questo giro, però, ho rinunciato all'acquisto di libri. Come ultima cosa di questa mattina tutta per me ho cercato un vestito. Non credo di aver comprato vestiti in questi ultimi due anni e, solitamente, non amo molto andare in giro per negozi di abiti, se non quelli dell'usato. Oggi ho fatto un'eccezione. Sono tornata alla forma di quando avevo 20 anni, quindi ho deciso di farmi un regalo. Ed ecco allora un negozietto piccolo, ma accogliente e coloratissimo (sempre consigliato da mia suocera), con dentro un camerino di prova arredato come un piccolo salotto un po' orientaleggiante, con una lampada ed un tappeto persiano, ed una signora simpatica e davvero speciale nei consigli che sa dare e per le cose che vende. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata ed ho scoperto che fino a qualche anno fa è stata una produttrice di vestiti e accessori ed ha vissuto in Nepal, dove affidava il lavoro di realizzazione di stoffe, vestiti e borse a varie famiglie del posto. Abbiamo parlato della situazione del mercato dell'abbigliamento, di come molto spesso i negozianti non siano molto cortesi, della vita in generale. Ne sono uscita con due vestiti ed un portafoglio (il mio era ormai distrutto) ad un prezzo onesto rispetto a quello che si trova in giro e con la sensazione positiva di aver parlato per davvero e con una persona interessante. I gufi e tutti i rapaci notturni sono una mia passione da sempre, quindi perchè non indossarli pure? Prima di tornare a casa sono tornata in libreria, perchè mi era tornato in mente uno dei libri suggeriti quest'ultimo Venerdì del Libro e, invece, ne sono uscita con un memory. Mi sono immaginata in futuro, intorno ad un tavolo di Natale, a giocarci con il mio compagno e la mia bimba. Infine mi sono avviata verso il nido e, sebbene fossi lievemente in ritardo, ho deciso di allungare un po' la strada e di fare la mia solita "allungatoia", una strada che passa in mezzo agli alberi del bosco vicino al lago e che ha sempre un'atmosfera sospesa e solenne. La strada sfocia direttamente vicino al lago, che appare sempre come una visione. Calmo e grigio in questa mattina di novembre. Capace di lenire la mia mente come un balsamo. Ancora più quieto e profondo grazie ai colori dorati dell'autunno. Ho ripreso la mia piccola ed insieme ci siamo avviate verso casa. Dalla cima della collina dove vivo, nelle giornate limpide si vede il mare. Oggi il cielo era un susseguirsi di nuvole che copriva tutto, ma in lontananza c'era uno squarcio ed il mare pareva oro bianco fuso, ancora più abbagliante contro il grigio piombo del cielo. Tornata a casa ho pensato ai capelli e la mente è andata ad un libro acquistato qualche anno fa in una bancarella, "Miliardi di tappeti di capelli" di Andreas Eschbach. Ricordo che la copertina non mi attirava per niente, ma il titolo e la trama mi avevano incuriosito. Un libro che mi ha affascinato e che ho trovato molto originale. E' un romanzo di fantascienza ed è davvero particolare. Parla di un mondo in cui esiste una casta privilegiata di tessitori di tappeti fatti con i capelli di mogli e figlie, i cui membri impiegano l'intera vita per tessere ciascuno il proprio tappeto che andrà ad adornare il Palazzo delle Stelle, dove vive l'Imperatore di tutto l'universo, una specie di dio. E' un mondo in cui la vita scorre in modo arcaico ed immobile da secoli e secoli, fino a quando iniziano a giungere notizie di una ribellione avvenuta da qualche altra parte dell'universo. Purtroppo non lo ricordo più nei dettagli, ma so per certo che mi era piaciuto e che era particolare la forma utilizzata per dare vita alla storia: non un'unica narrazione, ma una frammentazione di racconti che insieme fanno comprendere quanto accade (qui si può scaricare il primo capitolo). Mentre riprendevo in mano il libro e cercavo di far riaffiorare i ricordi, mia figlia aveva ricominciato a giocare con i suoi pupazzi, fra tutti soprattutto quelli storici del suo papà, Musetta e Zibibbo, e un orsetto che mi era stato regalato in passato da un amico. Mi ero già rituffata nel nostro pomeriggio, mentre la stanza scoloriva veloce intorno a me ed un filo di rosso amaranto colorava l'orizzonte.
martedì 20 novembre 2012
Miliardi di tappeti di capelli, una famiglia di gufi e un memory
Dove l'arredamento è ancora quello degli anni '60-'70. Dove la musica scaturisce da una radio grigia con mangianastri. Dove c'è l'angolo dei bambini con uno sgabello a cui è attaccata una sagoma ritagliata nel compensato a forma di testa di cavallo. Dove ci sono un po' di riviste, ma non molte e quasi sempre le stesse. Dove trovi le signore che si vanno a far sistemare i capelli per la domenica, assolutamente corti, come li portano sempre le signore, che sembrano aver rinunciato per l'età alla loro antica arma di seduzione. Dove Barbara, la ragazza che aiuta per lo shampoo e le tinte, ha qualche anno più di me ed è sempre gentile e con il sorriso genuino. Dove non c'è il brusio dei pettegolezzi e delle chiacchiere sulle ultime vicende dei vip. Dove c'è, appunto, Walter, un signore dai capelli bianchi e grigi e dalle rughe buone intorno agli occhi ed alla bocca, che ci mette tempo, pazienza, dedizione per fare un semplice taglio o una semplice piega. A volte fin troppo tempo, perchè passa e ripassa con le forbici, con la spazzola e il phon, alla ricerca di una perfezione certosina. La mia tendenza a frequentare poco il parrucchiere mi è rimasta comunque addosso, ma, andando da Walter, so che almeno posso fare un viaggio nel tempo e rallentarlo a mio piacere, godendomi il suono dell'asciugacapelli e dimenticando in un oblio sonnolento tutte le cose da fare. Per questo oggi, a distanza di non so nemmeno io quanto, sono tornata a tagliare i capelli che ormai non avevano più una forma, con la prospettiva poi di regalarmi il resto della mattinata, dedicandolo ancora a me stessa. La tappa obbligata è stata la libreria. Anzi, due librerie. A questo giro, però, ho rinunciato all'acquisto di libri. Come ultima cosa di questa mattina tutta per me ho cercato un vestito. Non credo di aver comprato vestiti in questi ultimi due anni e, solitamente, non amo molto andare in giro per negozi di abiti, se non quelli dell'usato. Oggi ho fatto un'eccezione. Sono tornata alla forma di quando avevo 20 anni, quindi ho deciso di farmi un regalo. Ed ecco allora un negozietto piccolo, ma accogliente e coloratissimo (sempre consigliato da mia suocera), con dentro un camerino di prova arredato come un piccolo salotto un po' orientaleggiante, con una lampada ed un tappeto persiano, ed una signora simpatica e davvero speciale nei consigli che sa dare e per le cose che vende. Abbiamo fatto una lunga chiacchierata ed ho scoperto che fino a qualche anno fa è stata una produttrice di vestiti e accessori ed ha vissuto in Nepal, dove affidava il lavoro di realizzazione di stoffe, vestiti e borse a varie famiglie del posto. Abbiamo parlato della situazione del mercato dell'abbigliamento, di come molto spesso i negozianti non siano molto cortesi, della vita in generale. Ne sono uscita con due vestiti ed un portafoglio (il mio era ormai distrutto) ad un prezzo onesto rispetto a quello che si trova in giro e con la sensazione positiva di aver parlato per davvero e con una persona interessante. I gufi e tutti i rapaci notturni sono una mia passione da sempre, quindi perchè non indossarli pure? Prima di tornare a casa sono tornata in libreria, perchè mi era tornato in mente uno dei libri suggeriti quest'ultimo Venerdì del Libro e, invece, ne sono uscita con un memory. Mi sono immaginata in futuro, intorno ad un tavolo di Natale, a giocarci con il mio compagno e la mia bimba. Infine mi sono avviata verso il nido e, sebbene fossi lievemente in ritardo, ho deciso di allungare un po' la strada e di fare la mia solita "allungatoia", una strada che passa in mezzo agli alberi del bosco vicino al lago e che ha sempre un'atmosfera sospesa e solenne. La strada sfocia direttamente vicino al lago, che appare sempre come una visione. Calmo e grigio in questa mattina di novembre. Capace di lenire la mia mente come un balsamo. Ancora più quieto e profondo grazie ai colori dorati dell'autunno. Ho ripreso la mia piccola ed insieme ci siamo avviate verso casa. Dalla cima della collina dove vivo, nelle giornate limpide si vede il mare. Oggi il cielo era un susseguirsi di nuvole che copriva tutto, ma in lontananza c'era uno squarcio ed il mare pareva oro bianco fuso, ancora più abbagliante contro il grigio piombo del cielo. Tornata a casa ho pensato ai capelli e la mente è andata ad un libro acquistato qualche anno fa in una bancarella, "Miliardi di tappeti di capelli" di Andreas Eschbach. Ricordo che la copertina non mi attirava per niente, ma il titolo e la trama mi avevano incuriosito. Un libro che mi ha affascinato e che ho trovato molto originale. E' un romanzo di fantascienza ed è davvero particolare. Parla di un mondo in cui esiste una casta privilegiata di tessitori di tappeti fatti con i capelli di mogli e figlie, i cui membri impiegano l'intera vita per tessere ciascuno il proprio tappeto che andrà ad adornare il Palazzo delle Stelle, dove vive l'Imperatore di tutto l'universo, una specie di dio. E' un mondo in cui la vita scorre in modo arcaico ed immobile da secoli e secoli, fino a quando iniziano a giungere notizie di una ribellione avvenuta da qualche altra parte dell'universo. Purtroppo non lo ricordo più nei dettagli, ma so per certo che mi era piaciuto e che era particolare la forma utilizzata per dare vita alla storia: non un'unica narrazione, ma una frammentazione di racconti che insieme fanno comprendere quanto accade (qui si può scaricare il primo capitolo). Mentre riprendevo in mano il libro e cercavo di far riaffiorare i ricordi, mia figlia aveva ricominciato a giocare con i suoi pupazzi, fra tutti soprattutto quelli storici del suo papà, Musetta e Zibibbo, e un orsetto che mi era stato regalato in passato da un amico. Mi ero già rituffata nel nostro pomeriggio, mentre la stanza scoloriva veloce intorno a me ed un filo di rosso amaranto colorava l'orizzonte.
venerdì 16 novembre 2012
I migliori anni della nostra vita
Giorni fa avevo scritto questo post, in cui anticipavo fugacemente alcune impressioni su un libro che stavo leggendo, ovvero "I migliori anni della nostra vita" di Ernesto Ferrero. Ho finito il giorno dopo il libro in questione, ma non sono riuscita subito a scriverne ed oggi fatico a mettere in forma scritta le mie idee in proposito, perchè, una volta chiuso, si ha l'impressione di aver richiuso anche la porta dalla quale si aveva scrutato fino a quel momento i personaggi e si ha paura, riaprendola, di arrecare disturbo, portare distrazione, quasi fosse meglio ripassare in un altro momento.
In questo libro si entra nella storia della casa editrice Einaudi o, meglio, si entra proprio nella casa editrice, sembra di farne parte. Pare di entrare nelle stanze di Via Biancamano (la sede storica di Torino), di affacciarsi un attimo nella stanza di Pavese con la sua aria sofferente, o in quella di Calvino, perduto dietro un mare di carte in atteggiamento silenzioso e meditabondo, o ancora in quella di Einaudi stesso, mentre Elsa Morante parla con lui di "Menzogna e sortilegio".
Mi sono goduta ogni pagina ed alla fine ho pensato che era troppo breve, che mi sarebbe piaciuto leggerne ancora qualche pagina, perchè fa impressione vedersi davanti tutti quei mostri sacri nella loro quotidianità, nelle loro fragilità, nella loro completa e totale umanità, di cui spesso ci si dimentica proprio per la loro grandezza.
Ferrero, responsabile dell'ufficio stampa della Einaudi dal 1963, ci racconta allora la storia della casa editrice e dei suoi protagonisti direttamente dall'interno, dal cuore e dalle viscere delle cose, mettendone in risalto luci ed ombre, conflitti e pacificazioni, la morale e la condotta, le personalità, i rituali, l'ascesa e la caduta, riportandone in vita i protagonisti come forse mai li abbiamo visti.
Ho sempre avuto un debole per le biografie degli autori e mi piace indugiare a leggerle e rileggerle prima o dopo l'inizio di un libro, perchè è lì che vi si può trovare il nodo per dipanare la matassa di quello che si legge ed è lì che li si riesce a sentire profondamente vicini, trovando rispondenze e assonanze.
Su tutti emergela figura di Giulio Einaudi, principe della casa editrice, algido e minimalista come le copertine dei suoi libri, ma al tempo stesso eccentrico ed apparentemente volubile, animato nel suo operare da una volontà morale di contribuire a creare l'anima degli italiani. Come gli scrisse una volta il padre Luigi: "Tu sei stato qualcuno e lo sarai di nuovo; sarai, non so se il più grande economicamente, che non conta nulla, il capo spirituale nel tuo ramo, se continuerai a tenerti fermo al principio che ti ha tratto in alto dal gregge: cercare dappertutto la parola di verità, la parola di chi scrive come pensa, anche se quella parola è diversa e opposta a quella di chi comanda, anche se è diversa dalla tua. Sii sempre quel che fosti in passato." Ed è quel che emerge da questo libro. Una moralità che accomuna tutti coloro che lavorarono nella casa editrice durante gli anni d'oro, con diverse sfaccettature, tante quante erano i volti che la animavano, e che li aveva resi una sorta di comunità spirituale, quasi di confraternita di frati, semplice ma raffinatissima al tempo stesso.
Giulio Bollati era l'altra anima della casa editrice, l'altro volto di Giano, colui che ribadiva più volte che il compito della casa editrice era di contribuire alla formazione della classe dirigente del Paese, colui che l'aveva resa, come dice Ferrero, "Un pubblico servizio gestito come un maniero dei Relais & Chateaux". Sperava in una classe dirigente che fosse modello di vita e di democrazia, ma anche di gusto, attenta alla cultura ed all'educazione.
In tutto questo alone di serietà non mancano però gli episodi buffi o divertenti, umanissimi, per esempio quello che ruota intorno all'incontro tra un profumatissimo tartufo di Alba e Kruscev o ancora i ritiri "spirituali" in montagna, a metà tra vacanza e lavoro, dell'intero gruppo.
Oltre a Einaudi e Bollati, sfilano poi tutti gli altri protagonisti di quelle stanze. Primo fra tutti Calvino, di cui Borges (cieco) disse: "L'ho riconosciuto dal silenzio", vestito dimessamente, una presenza solo in apparenza di basso profilo, ma pregnantissima, maestro assoluto dei risvolti di copertina, lavoratore instancabile, umanissimo nel rispondere con infinita pazienza alle migliaia di lettere degli aspiranti scrittori, offrendo consigli, spiegando cosa andava e cosa no. Poi Pavese, che, come dice Ferrero, "restava qualcuno che sapeva dar voce agli stati d'animo dei miei vent'anni", con "il senso di rivelazione imminente che aleggia sui suoi scenari di città e di collina, la ricerca di sé che si sfoga in lunghe passeggiate notturne, silenzi, chiacchiere inconcludenti con amici stonati...".
E ancora Vittorini, Munari, Leone e Natalia Ginzburg, Norberto Bobbio, Primo Levi, Gadda, Dacia Maraini, Lalla Romano, Fenoglio, Sciascia, Elsa Morante, Mario Rigoni Stern, Montale, Pasolini e ancora tanti tanti altri. Ci sarebbe troppo da dire su ciascuno e penso sia meglio lasciare ad una lettura personale la scoperta di quanto si dice di ciascuno di loro.
Come un filo che collega molti di essi, l'impegno civile, la Resistenza, gli ideali morali, politici e culturali.
Inutile dire che il libro mi è piaciuto e che, a mio parere, ne è valsa la pena leggerlo, sia perchè racconta di una parte importantissima della nostra cultura, sia perchè è stato bellissimo poter accorstarmi così da vicino agli autori che più ho amato nell'adolescenza (e che continuo ad amare) ed osservare la genesi delle loro opere.
Sono tante le frasi che ho sottolineato per i più svariati motivi. Chiudo con due di esse.
"Cerchiamo ... di stabilire un contatto, sia pure dialettico, tra i ragazzi e il mondo che li ha preceduti: perchè se non conoscono la vita, l'infanzia e il mondo dei padri e dei nonni, non capiranno neanche la loro infanzia, il loro mondo." (Daniele Ponchiroli)
"Il libro è lo strumendo della redenzione degli italiani, della loro crescita civile."
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro.
In questo libro si entra nella storia della casa editrice Einaudi o, meglio, si entra proprio nella casa editrice, sembra di farne parte. Pare di entrare nelle stanze di Via Biancamano (la sede storica di Torino), di affacciarsi un attimo nella stanza di Pavese con la sua aria sofferente, o in quella di Calvino, perduto dietro un mare di carte in atteggiamento silenzioso e meditabondo, o ancora in quella di Einaudi stesso, mentre Elsa Morante parla con lui di "Menzogna e sortilegio".
Mi sono goduta ogni pagina ed alla fine ho pensato che era troppo breve, che mi sarebbe piaciuto leggerne ancora qualche pagina, perchè fa impressione vedersi davanti tutti quei mostri sacri nella loro quotidianità, nelle loro fragilità, nella loro completa e totale umanità, di cui spesso ci si dimentica proprio per la loro grandezza.
Ferrero, responsabile dell'ufficio stampa della Einaudi dal 1963, ci racconta allora la storia della casa editrice e dei suoi protagonisti direttamente dall'interno, dal cuore e dalle viscere delle cose, mettendone in risalto luci ed ombre, conflitti e pacificazioni, la morale e la condotta, le personalità, i rituali, l'ascesa e la caduta, riportandone in vita i protagonisti come forse mai li abbiamo visti.
Ho sempre avuto un debole per le biografie degli autori e mi piace indugiare a leggerle e rileggerle prima o dopo l'inizio di un libro, perchè è lì che vi si può trovare il nodo per dipanare la matassa di quello che si legge ed è lì che li si riesce a sentire profondamente vicini, trovando rispondenze e assonanze.
Giulio Bollati era l'altra anima della casa editrice, l'altro volto di Giano, colui che ribadiva più volte che il compito della casa editrice era di contribuire alla formazione della classe dirigente del Paese, colui che l'aveva resa, come dice Ferrero, "Un pubblico servizio gestito come un maniero dei Relais & Chateaux". Sperava in una classe dirigente che fosse modello di vita e di democrazia, ma anche di gusto, attenta alla cultura ed all'educazione.
In tutto questo alone di serietà non mancano però gli episodi buffi o divertenti, umanissimi, per esempio quello che ruota intorno all'incontro tra un profumatissimo tartufo di Alba e Kruscev o ancora i ritiri "spirituali" in montagna, a metà tra vacanza e lavoro, dell'intero gruppo.
Oltre a Einaudi e Bollati, sfilano poi tutti gli altri protagonisti di quelle stanze. Primo fra tutti Calvino, di cui Borges (cieco) disse: "L'ho riconosciuto dal silenzio", vestito dimessamente, una presenza solo in apparenza di basso profilo, ma pregnantissima, maestro assoluto dei risvolti di copertina, lavoratore instancabile, umanissimo nel rispondere con infinita pazienza alle migliaia di lettere degli aspiranti scrittori, offrendo consigli, spiegando cosa andava e cosa no. Poi Pavese, che, come dice Ferrero, "restava qualcuno che sapeva dar voce agli stati d'animo dei miei vent'anni", con "il senso di rivelazione imminente che aleggia sui suoi scenari di città e di collina, la ricerca di sé che si sfoga in lunghe passeggiate notturne, silenzi, chiacchiere inconcludenti con amici stonati...".
Come un filo che collega molti di essi, l'impegno civile, la Resistenza, gli ideali morali, politici e culturali.
Inutile dire che il libro mi è piaciuto e che, a mio parere, ne è valsa la pena leggerlo, sia perchè racconta di una parte importantissima della nostra cultura, sia perchè è stato bellissimo poter accorstarmi così da vicino agli autori che più ho amato nell'adolescenza (e che continuo ad amare) ed osservare la genesi delle loro opere.
Sono tante le frasi che ho sottolineato per i più svariati motivi. Chiudo con due di esse.
"Cerchiamo ... di stabilire un contatto, sia pure dialettico, tra i ragazzi e il mondo che li ha preceduti: perchè se non conoscono la vita, l'infanzia e il mondo dei padri e dei nonni, non capiranno neanche la loro infanzia, il loro mondo." (Daniele Ponchiroli)
"Il libro è lo strumendo della redenzione degli italiani, della loro crescita civile."
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro.
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martedì 13 novembre 2012
Il gioco delle noci
Pochi giorni fa mi sono imbattutta in questo articolo, che parla di qualcosa di - a mio parere - veramente curioso. Pare che in questo periodo dell'anno in Cina si scateni una vera e propria passione per le noci e per una serie di giochi ad esse legati. I cinesi sembrano allora trascorrere l'autunno tenendo in mano due noci, strofinandole una con l'altra, ma non solo. Il passatempo preferito sono le scommesse sulla bellezza e perfezione delle noci che scaturiscono fuori dal mallo. Il commercio delle noci a scopo alimentare è qualcosa che non permette di campare, mentre quello che riguarda le scommesse ed il collezionismo garantisce un giro di affari strepitosi.
Tutto ciò (di cui si trovano i dettagli nell'articolo sopra menzionato e qui) mi ha enormemente affascinato. La Cina è sempre un'incredibile insieme di tradizioni antiche e di capitalismo moderno e mi colpisce molto il fatto che vi sia ancora questa usanza così antica e che in un Paese che cresce a ritmo così frenetico (e per noi angosciante ed inquietante) vi sia ancora il tempo per qualcosa del genere. Trovo davvero particolare il fatto che (come viene sottolineato nel secondo articolo citato) le noci siano uno status symbol per i nuovi ricchi cinesi insieme ai beni di lusso tipicamente occidentali. Le noci sembrano incarnare perfettamente le contraddizioni di questo Paese.
L'azzardo ed il commercio sulle noci è qualcosa di più di una scommessa o del semplice collezionismo. Servono (come dice anche l'autore dell'articolo) tatto, immaginazione, attenzione, intuizione, così come, per i produttori, una sapiente capacità di creare innesti, modellare i malli, selezionare esemplari.
In particolare trovo molto bella la chiusura dell'articolo:
"I cinesi stringono sempre due noci nell'incavo di una mano. Le fanno ruotare, le premono l'una contro l'altra per affinarle, ascoltano la loro voce. Sono convinti che sia un'attività salutare per le articolazioni, contro la vecchiaia di ossa e cartilagini, e che dia una seria ripulita ai pensieri. Le belle noci passano di padre in figlio, raccontano la storia della famiglia e toccarle significa dare la mano a chi è andato via. Nei negozi di antiquariato si trovano frutti di valore, invecchiati in mani famose. Toccarle è un gioco che aiuta a non limitarsi alle piccole cose, come il volo di un aquilone perduto in fondo al cielo."
Pensavo a queste collezioni di noci che passano di padre in figlio come un tesoro prezioso, ad un uomo seduto sulla soglia che scruta il cielo facendo ruotare le noci tra le mani, ascoltandone il suono morbido e secco al tempo stesso. Ho provato a tenerne in mano due, a farne per qualche attimo il mio "antistress" e mi sono resa conto che in effetti è rilassante ed ispira immagini, storie, pensieri.
Se poi, come dice la medicina trazionale cinese, il gioco delle noci aiuta a rendere più fluida la circolazione sanguigna, a purificare l'organismo e a trattenere alcune caratteristiche (penso negative) del proprietario, allora il tutto assume una valenza terapeutica da non sottovalutare.
Fino ad oggi conoscevo soltanto il sapore particolarissimo del nocino, un liquore fatto con le noci (da cogliere rigorosamente la notte delle streghe, ovvero tra il 23 ed il 24 giugno), di cui ho ricevuto varie volte in dono qualche bottiglia da un amico che lo autoproduce in maniera eccellente.
Mario Rigoni Stern, in "Arboreto selvatico", ricorda una canzone popolare che si cantava in guerra e che diceva:
"Ti ricordi quelle sere
sotto l'albero di noce
mi dicevi a bassa voce ..."
Gli innamorati pare andassero sotto il noce a sussurrarsi parole d'amore, perchè nel passato le noci erano di buon augurio per le nozze (oltre che afrodisiache) e venivano lanciate agli sposi, invece dell'ormai imperante riso.
Per approfondire un po' miti e leggende sul noce (come su molti altri alberi e piante in generale), vado spesso a consultare un libro che amo molto: "Florario" di Alfredo Cattabiani (una vera miniera di notizie, come pure gli altri suoi libri simili, ma riguardanti altri temi). Qui riscopro il legame del noce con le divinità femminili greche e romane, da cui discende il collegamento con le streghe (vedi sopra rispetto al momento più adatto per cogliere le noci per il nocino). Nella notte di San Giovanni le streghe, secondo la leggenda, volavano nei cieli per raggiungere il noce di Benevento, sotto cui aveva luogo il sabba ed in generale, un po' in tutta Italia, il noce era considerato l'albero ideale per il sabba. Da ciò è discesa poi la credenza popolare che facesse male dormire sotto un noce.
Le credenze su questo albero sono ambivalenti. Simbolo di morte e di abbondanza al tempo stesso, è legato a qualcosa di magico ed ultraterreno, al punto che nelle favole (vedi fratelli Grimm) le noci sono legate a tesori od oggetti particolari, magari dotati di poteri.
Numerosi sono poi i giochi che, nell'antichità ed in un passato più recente, i bambini facevano proprio con le noci, tanto che ne è nato un modo di dire, "Giocare con le noci", proprio per intendere il gingillarsi.
Ho scoperto infine che vi sono numerosi proverbi ispirati a questi frutti. E le curiosità sono ancora tantissime sull'argomento.
Chiudo questo lungo post sperando che le mie due noci possano allontanare un po' dei pensieri e delle ansie di questi giorni. Come il cinese nell'immagine nata nella mia mente, forse devo anch'io trovare il tempo di mettermi seduta a guardare il cielo rigirandole tra le mani.
giovedì 8 novembre 2012
Visioni
Ieri, dopo parecchio tempo che usavo la macchina per gli spostamenti (so che sarebbe meglio evitare ma risparmio un po' più di un'ora di viaggio), per vari motivi ho dovuto riprendere il treno per andare a Roma. Sebbene ami guidare (anche se non nel traffico di Roma), viaggiare con il treno è un ritorno alle origini. D'altronde dal liceo in poi, sono stata sempre una pendolare. Sempre sul treno. Il treno invita ad indugiare sui dettagli, specialmente quello che ho preso, che fa tutte le fermate. In macchina i dettagli sfuggono. Si coglie una visione d'insieme del cielo e di ciò che ci circonda, ma è tutto fugace, passeggero, soprattutto se si guida.
Ieri mi sono allora abbandonata a quello che vedevo. Voglio ricordare alcune visioni e sensazioni, del treno e non solo.
Alla stazione, mentre attendevo l'arrivo del treno, mi è apparsa, come un miraggio, una donna di colore completamente vestita di bianco. Un bianco abbagliante in mezzo al grigio dei nostri cappotti tutti uguali. Un copricapo che le si avvolgeva in spire alla regale testa, un abito lungo con balze e pizzi, stivali. Tutto bianco. E occhiali a specchio, come se ne vedono ormai raramente, retaggio degli anni '80. Un'immagine bellissima e distante, altera ed irreale. L'ho immaginata su una duna, in mezzo al deserto, sotto un sole altrettanto abbagliante, con il profilo rivolto all'orizzonte lontano, in un inseguirsi di creste sabbiose, in un silenzio immoto. Tutti gli altri, io compresa, così insignificanti ed incolori al cospetto di questa regina.
Poi, ad un'altra fermata, un cantiere in attività. Le solite palazzine tutte uguali, tristi, che rovinano i dintorni di Roma e che frammentano quei pochi angoli di campagna che ancora la cingono. Eppure ho notato la grazia e la bellezza di una gru che scavava e raccoglieva terra, spostantola altrove. Il suo movimento era fluido, sinuoso, sembrava animata da vita propria, creatura antica, dinosauro riportato in vita. Pareva brucare l'erba per poi alzare il collo flessuoso verso il cielo, incurante del mondo attorno a lei che era andato avanti.
Infine il frastuono caotico e disorientante delle macchine che sfrecciavano sotto il cavalcavia del treno, alla fermata dell'autobus, dove l'aria è impregnata dell'odore di uno sporco stratificato da decenni e dal rumore metallico e carico di smog delle auto. La mia mente ha cercato di estraniarsi, di lasciare fuori quei suoni, mentre i miei occhi correvano alle finestre di un palazzo affacciato sulla strada, dove mani di domestiche pulivano vetri, sbattevano stracci, chiedendomi che cosa ne pensavano di tutto quel rumore. Una donna si è fermata e ha parcheggiato lo scooter, attardandosi a sistemarsi i capelli dopo aver tolto il casco, scrutandosi nello specchietto, incurante di tutto quello che le stava attorno, dell'uomo straniero (pakistano?) che la guardava perplesso.
Al ritorno un'amica mi ha dato un passaggio in macchina ed è stato un flusso di luci rosse di macchine davanti a noi, quasi un anticipo di Natale e poi, mentre ci avvicinavamo verso casa, una strada finalmente buia, dove la mente poteva riposare ed i profili delle colline si stagliavano contro il riverbero lontano delle luci della città, dove potevo di nuovo vedere le stelle.
Ieri mi sono allora abbandonata a quello che vedevo. Voglio ricordare alcune visioni e sensazioni, del treno e non solo.
Alla stazione, mentre attendevo l'arrivo del treno, mi è apparsa, come un miraggio, una donna di colore completamente vestita di bianco. Un bianco abbagliante in mezzo al grigio dei nostri cappotti tutti uguali. Un copricapo che le si avvolgeva in spire alla regale testa, un abito lungo con balze e pizzi, stivali. Tutto bianco. E occhiali a specchio, come se ne vedono ormai raramente, retaggio degli anni '80. Un'immagine bellissima e distante, altera ed irreale. L'ho immaginata su una duna, in mezzo al deserto, sotto un sole altrettanto abbagliante, con il profilo rivolto all'orizzonte lontano, in un inseguirsi di creste sabbiose, in un silenzio immoto. Tutti gli altri, io compresa, così insignificanti ed incolori al cospetto di questa regina.
Poi, ad un'altra fermata, un cantiere in attività. Le solite palazzine tutte uguali, tristi, che rovinano i dintorni di Roma e che frammentano quei pochi angoli di campagna che ancora la cingono. Eppure ho notato la grazia e la bellezza di una gru che scavava e raccoglieva terra, spostantola altrove. Il suo movimento era fluido, sinuoso, sembrava animata da vita propria, creatura antica, dinosauro riportato in vita. Pareva brucare l'erba per poi alzare il collo flessuoso verso il cielo, incurante del mondo attorno a lei che era andato avanti.
Infine il frastuono caotico e disorientante delle macchine che sfrecciavano sotto il cavalcavia del treno, alla fermata dell'autobus, dove l'aria è impregnata dell'odore di uno sporco stratificato da decenni e dal rumore metallico e carico di smog delle auto. La mia mente ha cercato di estraniarsi, di lasciare fuori quei suoni, mentre i miei occhi correvano alle finestre di un palazzo affacciato sulla strada, dove mani di domestiche pulivano vetri, sbattevano stracci, chiedendomi che cosa ne pensavano di tutto quel rumore. Una donna si è fermata e ha parcheggiato lo scooter, attardandosi a sistemarsi i capelli dopo aver tolto il casco, scrutandosi nello specchietto, incurante di tutto quello che le stava attorno, dell'uomo straniero (pakistano?) che la guardava perplesso.
Al ritorno un'amica mi ha dato un passaggio in macchina ed è stato un flusso di luci rosse di macchine davanti a noi, quasi un anticipo di Natale e poi, mentre ci avvicinavamo verso casa, una strada finalmente buia, dove la mente poteva riposare ed i profili delle colline si stagliavano contro il riverbero lontano delle luci della città, dove potevo di nuovo vedere le stelle.
domenica 4 novembre 2012
Suoni consolanti
E' stata una domenica di nebbia. La collina ne era avviluppata e non si poteva scorgere niente oltre il giardino. E' caduta una pioggia lieve, discreta ma insistente.Giornata da casa. Amo in generale il cosiddetto "brutto tempo" e le giornate come questa mi fanno sentire protetta, come se potessi essere nascosta dalla vista del mondo. Forse una reminescenza della vita intrauterina, quando tutto è oscuro e distante, ma non vi è smarrimento, solo senso di protezione e calore.
A parte essermi tuffata in una consistente mole di lavoro di battitura testi, sono riuscita a dedicarmi anche un po' alla lettura di "I migliori anni della nostra vita" di Ernesto Ferrero, che non ha niente a che vedere con trasmissioni televisive, ma che rievoca in un modo coinvolgente ed irresistibile gli anni d'oro della casa editrice Einaudi. Un libro che ho comprato usato qualche mese fa e che d'improvviso ho iniziato a leggere, venendone inesorabilmente conquistata, trascinata, ammaliata. Oggi mi sono quindi persa tra i corridoi di Via Biancamano e tra le espressioni ed i moti d'animo di Calvino, Pavese, Bollati & co.
Questa sera, dopo un breve (raffreddori e mal di gola sono ancora di casa) ed allegro bagno con la mia piccola, mi sono lasciata di nuovo cullare da qualcosa. Questa volta non dalla nebbia, ma dal mio phon (e dalla mia bimba che mi sedeva in braccio aggrappata come un koala). Mentre mi asciugavo diligentemente i capelli (nel tentare di risparmiarmi dolori di cervicale), ho pensato a quanto adoro il suono consolante del phon, come pure quello della lavastoviglie e della lavatrice.
Ricordo che quando ancora vivevo nella casa dei miei genitori, fin da piccola, trascorrevo a volte ore in bagno, accanto alla lavatrice che girava e girava, calda e ripetitiva, mormorando la sua nenia sempre uguale e per questo così capace di ipnotizzarmi, di farmi perdere dietro ai miei pensieri fino ad annullarmi, una sorta di meditazione moderna.
Questi suoni in passato non esistevano. Se fossi vissuta in un altro tempo, non mi avrebbero potuto cullare, consolare, calmare il mio umore mutevole.
C'è ancora nebbia questa sera e la lavastoviglie mi sta cantando la sua ninna nanna. La nebbia mi ha fatto tornare in mente un libro letto anni fa, che mi era piaciuto molto, se non ricordo male. Si tratta di "Gap" di Marcello Fois, in cui il presente si intreccia con il passato proprio nella nebbia, che diviene un luogo in cui si annullano i confini spazio-temporali e teatro di un incontro tra tre giovani di oggi e altri giovani del passato, un gruppo di partigiani. Ecco il tema a me caro che ritorna, come un leit motiv di tutta la mia vita.
Continuo ad ascoltare il morbido canto della lavastoviglie riprendendo in mano il libro di Ferrero. Torno a sbirciare nelle stanze di Via Biancamano, a seguirne i protagonisti nel loro ritiro spirituale sulle Alpi e a sedermi accanto a Calvino...
A parte essermi tuffata in una consistente mole di lavoro di battitura testi, sono riuscita a dedicarmi anche un po' alla lettura di "I migliori anni della nostra vita" di Ernesto Ferrero, che non ha niente a che vedere con trasmissioni televisive, ma che rievoca in un modo coinvolgente ed irresistibile gli anni d'oro della casa editrice Einaudi. Un libro che ho comprato usato qualche mese fa e che d'improvviso ho iniziato a leggere, venendone inesorabilmente conquistata, trascinata, ammaliata. Oggi mi sono quindi persa tra i corridoi di Via Biancamano e tra le espressioni ed i moti d'animo di Calvino, Pavese, Bollati & co.
Questa sera, dopo un breve (raffreddori e mal di gola sono ancora di casa) ed allegro bagno con la mia piccola, mi sono lasciata di nuovo cullare da qualcosa. Questa volta non dalla nebbia, ma dal mio phon (e dalla mia bimba che mi sedeva in braccio aggrappata come un koala). Mentre mi asciugavo diligentemente i capelli (nel tentare di risparmiarmi dolori di cervicale), ho pensato a quanto adoro il suono consolante del phon, come pure quello della lavastoviglie e della lavatrice.
Ricordo che quando ancora vivevo nella casa dei miei genitori, fin da piccola, trascorrevo a volte ore in bagno, accanto alla lavatrice che girava e girava, calda e ripetitiva, mormorando la sua nenia sempre uguale e per questo così capace di ipnotizzarmi, di farmi perdere dietro ai miei pensieri fino ad annullarmi, una sorta di meditazione moderna.
Questi suoni in passato non esistevano. Se fossi vissuta in un altro tempo, non mi avrebbero potuto cullare, consolare, calmare il mio umore mutevole.
C'è ancora nebbia questa sera e la lavastoviglie mi sta cantando la sua ninna nanna. La nebbia mi ha fatto tornare in mente un libro letto anni fa, che mi era piaciuto molto, se non ricordo male. Si tratta di "Gap" di Marcello Fois, in cui il presente si intreccia con il passato proprio nella nebbia, che diviene un luogo in cui si annullano i confini spazio-temporali e teatro di un incontro tra tre giovani di oggi e altri giovani del passato, un gruppo di partigiani. Ecco il tema a me caro che ritorna, come un leit motiv di tutta la mia vita.
Continuo ad ascoltare il morbido canto della lavastoviglie riprendendo in mano il libro di Ferrero. Torno a sbirciare nelle stanze di Via Biancamano, a seguirne i protagonisti nel loro ritiro spirituale sulle Alpi e a sedermi accanto a Calvino...
giovedì 1 novembre 2012
Soddisfazioni della notte di Halloween
Niente festeggiamenti di Halloween ieri sera. A parte che stiamo sempre tutti e tre male (l'asilo è veramente un'arma di distruzione) e che il mio lui era al lavoro, ieri sera fuori imperversava una specie di bufera e la collina era avvolta dalla nebbia e dal vento. Diciamo quindi che ho festeggiato in maniera un po' grossolana ma gratificante, travestendomi da me stessa quale ero mesi e mesi fa. Ovvero provando i miei vestiti che finalmente riesco ad indossare di nuovo (la dieta per riequilibrare l'organismo ha funzionato a meraviglia).
La cosa da ricordare è che, all'improvviso, mia figlia, che stava giocando vicino a me mentre provavo gli abiti, mi ha indicato e ha detto: "Bella! Carina!", annuendo con la testa, e lo ha ripetuto con il vestito successivo. Mi ha suscitato una tenerezza incredibile. Uno dei complimenti più dolci mai ricevuti.
PS: la foto non c'entra niente con ieri sera. E' stata scattata qualche mese fa, per sbaglio, ma l'ho amata da subito e, in qualche modo, è un po' una sintesi dei mesi scorsi.
La cosa da ricordare è che, all'improvviso, mia figlia, che stava giocando vicino a me mentre provavo gli abiti, mi ha indicato e ha detto: "Bella! Carina!", annuendo con la testa, e lo ha ripetuto con il vestito successivo. Mi ha suscitato una tenerezza incredibile. Uno dei complimenti più dolci mai ricevuti.
PS: la foto non c'entra niente con ieri sera. E' stata scattata qualche mese fa, per sbaglio, ma l'ho amata da subito e, in qualche modo, è un po' una sintesi dei mesi scorsi.
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