mercoledì 26 settembre 2012

I'm goin' where the sun keeps shinin'

Qualche giorno fa avevo scritto qualche riga a proposito di una persona che conoscevo e che non stava bene. Da lunedì questa persona non c'è più. Era una mia compagna di classe del liceo. Aveva solo 33 anni. In questi giorni non ho fatto altro che pensare a lei e a quegli anni. A scuola non era una delle mie più care amiche, eppure, d'improvviso, l'ho risentita così vicina da straziare. Ne ho ricordato le espressioni, il carattere forte, la risata. L'ho rivista, con il viso concentrato, mentre risolveva con facilità e naturalezza complicatissimi esercizi di matematica. Era così brava in matematica. La più brava della classe. Io ero tutta persa dietro le materie letterarie e quello che lei riusciva a fare era per me un rebus inestricabile. Ricordo di averla vista piangere solo una volta in cinque anni, per rabbia. Ci eravamo perse in questi anni. Solo qualche fugace messaggio su Facebook. Mi ero riproposta tante volte di riallacciare meglio i contatti, ma poi, forse per il ricordo del nostro rapporto non idilliaco in passato, avevo sempre lasciato perdere, come non potessi credere che le persone crescono, cambiano, maturano. I giorni scorsi, invece, avrei dato chissà cosa per poterle essere vicina.
Oggi c'è stato il funerale ed io non sono potuta essere presente. La lontananza, il problema di come sistemare la mia bimba ed il suo inserimento al nido hanno complicato tutto. Ieri mi sono dibattuta tutto il giorno su come riuscire ad andare, per poi arrendermi. Non riuscivo a far quadrare il cerchio.
Mentre guidavo verso Roma pensavo a lei, agli altri miei compagni che avevano ricevuto la notizia come un brutto colpo, a tutti questi anni di lontananza, a come li sentissi d'improvviso di nuovo tutti vicini. Avrei voluto essere davanti ad un film come Il Grande Freddo, invece di ritrovarmici immersa. Ho saputo da una compagna, quasi l'unica con cui sono rimasta in stretto contatto, che ha avuto modo di rivedere più o meno tutti gli altri compagni e di essersi resa conto di come siamo rimasti gli stessi di allora, solo con qualche anno e qualche figlio in più. Stavano organizzandosi per incontrarsi di nuovo, finalmente, dopo tutto questo tempo. Allora ho sentito ancor di più il desiderio di rivederli tutti e mi sono domandata perchè proprio la scomparsa di uno di noi doveva riuscire ad avvicinarci.
Pensavo alla mia compagna e tutte le parole mi sembravano vane e piene di retorica. In questi casi non ci sono parole od equazioni di matematica per spiegare e giustificare le ragioni di una malattia che ti porta via senza pensarci troppo.
Mi è solo tornata in mente una canzone che amo molto, Everybody's Talking di Harry Nillson (apre il film Un uomo da marciapiede e vi ritorna come leitmotiv durante tutta la storia). Allora ho pensato che forse questa era adatta. Ho immaginato la mia amica guardarci da non so bene dove, ormai serena, sorridendo, canticchiando questa canzone, mentre il vento le scompiglia i capelli e le nostre lacrime sono solo un'eco lontana che frange il sole nei suoi occhi scuri.
Everybody's talkin' at me
I don't hear a word they're sayin'
Only the echoes of my mind
People stop and stare
I can't see their faces
Only the shadows of their eyes
I'm goin' where the sun keeps shinin'
through the pourin' rain
Goin' where the weather suits my clothes
Bankin' off of the northeast wind
Sailin' on a summer breeze
Skippin' over the ocean like a stone
Everybody's talkin' at me
I don't hear a word they're sayin'
Only the echoes of my mind
People stop and stare
I can't see their faces
Only the shadows of their eyes
I'm goin' where the sun keeps shinin'
through the pourin' rain
Goin' where the weather suits my clothes
Bankin' off of the northeast wind
Sailin' on a summer breeze
Skippin' over the ocean like a stone
Everybody's talkin' at me
I don't hear a word they're sayin'
Only the echoes of my mind
And, I won't let you leave my love behind
No, I won't let you leave my love behind
And, I won't let you leave my love behind
And, I won't let you leave my love behind
And, I won't let you leave my love behind 


venerdì 21 settembre 2012

Libri dimenticati (ma non da me) - Parte 2

Per lo scorso Venerdì del Libro, avevo proposto tre libri "dimenticati", partecipando così all'iniziativa di Palmy Il Cimitero dei Libri dimenticati: share a lost book. Questa settimana, per mancanza di tempo, ne presento solo uno, riservandomi gli altri per post successivi.
Il segreto di Santa Vittoria - Robert Crichton (Bompiani, 1968)
A vederlo non gli avrei dato due soldi. A lettura iniziata ancora non ne ero molto convinta. Dopo un po', però, ho iniziato a divorarlo. La vicenda è ambientata a Santa Vittoria d'Alba, un paesino del Piemonte, nel 1943 e prende spunto da un fatto realmente accaduto. Tutto ruota attorno ad un milione di bottiglie di vino, il vero tesoro del paese, che i tedeschi cercano accanitamente e che gli abitanti cercano altrettanto tenacemente di nascondere (il punto infatti è: come nascondere bene in poco tempo così tante bottiglie e come fare a mantenere il segreto sul loro nascondiglio?). La figura principaabilile è quella del sindaco Italo Bombolini,, ma attorno a lui si muovo tutta una serie di personaggi godibilissimi. Il risultato è un romanzo irresistibile (almeno per me), che il "Time" ha definito "il più comico romanzo di guerra". I personaggi sono ben caratterizzati, la storia è pervasa da un umorismo intelligente e molti lo hanno associato ad un'avventura di Don Camillo in tempo di guerra. Me lo sono gustato come mi capita spesso di fare con i romanzi di Camilleri (penso in particolare a Il birraio di Preston), anche in quelle pagine che narrano in maniera diretta e cruda alcuni episodi di violenza da parte dei tedeschi (è vero che è per lo più esilerante, ma è pur sempre un romanzo di guerra). Da questo libro è stato tratto anche l'omonimo film del 1969 diretto da Stanley Kramer con Antonhy Quinn, Anna Magnani, Virna Lisi, Renato Raschel e Giancarlo Giannini (che però ancora non ho visto). 
Il confronto tra versione letteraria e trasposizione filmica, l'ambientazione durante la Seconda Guerra Mondiale ed il riferimento al paese dove è presente lo storico stabilimento della Cinzano potrebbero essere ottimi spunti per lavorarci anche a scuola (magari si potrebbe anche fare un parallelo con altri libri ambientati nello stesso periodo, per esempio proprio alcune opere di Camilleri... Ok, basta.Sto andando un po' troppo avanti con la fantasia...).

giovedì 20 settembre 2012

Fiore d'oro

Lunedì, purtroppo, ho avuto una terribile notizia a proposito di una persona che conosco, ma che non vedo più da tanti anni. In questi giorni non ho fatto altro che pensarci e ripensarci. Mi sono tornati alla mente tanti momenti del passato. Non ho mai avuto un gran rapporto di amicizia con questa persona, ma oggi, il sapere della sua sofferenza, mi è arrivato addosso come una doccia fredda, freddissima e mi ha fatto stare molto male. Mi sono sorpresa a pensare a lei nominandola nella mia mente con il suo nome abbreviato, come facevo un tempo, quando la frequentavo, come se d'improvviso la distanza si fosse colmata e mi fossi ritrovata indietro nel tempo. Non voglio parlarne oltre, per rispetto e perchè in questi casi non esistono parole. Oggi, però, mentre ci pensavo su, mi sono ricordata di una leggenda cinese che avevo sentito raccontare dalla mia maestra delle elementari a proposito della nascita del crisantemo. Secondo questa storia, una bambina vegliava in lacrime la madre che stava morendo, tanto che uno spirito si commosse e le donò un fiore, dicendole di darlo alla Morte, che avrebbe dovuto concedere alla madre tanti giorni quanti erano i suoi petali. La bambina allora divise in tantissime striscioline sottili ogni petalo del fiore, così, quando giunse la Morte, concesse alla madre ancora moltissimi giorni da vivere con la sua bambina. Era nato il crisantemo, fiore originario della Cina (poi diffusosi anche in Giappone), il cui nome significa "fiore d'oro" e che simboleggia, a dispetto di quello che siamo abituati a credere noi, vita e gioia.
Oggi, se potessi, farei come la bambina della leggenda.
PS: la foto non è mia e mi scuso con la fonte, ma ho cercato un'immagine in cui il fiore avesse più petali possibile.

venerdì 14 settembre 2012

Libri dimenticati (ma non da me) - Parte 1

Qualche settimana fa, Palmy mi aveva invitato a partecipare ad una sua interessante iniziativa, cui in parte avevo già aderito sul gruppo Facebook da lei inaugurato, Segnalibro: consigli e sconsigli di lettura. Si tratta di Il Cimitero dei Libri Dimenticati: share a lost book. Con questo post, oltre a partecipare al Venerdì del Libro, desidero anche partecipare all'iniziativa menzionata, perchè, a mio avviso, sono molti i libri che vengono dimenticati, passano inosservati, muoiono in pochi istanti senza avere il tempo di farsi conoscere.
Come diceva qui Grazia, l'iperproduzione editoriale, che riversa valanghe di libri (moltissimi, a mio avviso, di dubbia qualità) ogni anno, non permette alle opere di stazionare a lungo sugli scaffali, in una folle corsa di promozioni, lanci e ritirate, in cui si fa fatica a scorgere i titoli interessanti (ed anche quando li trovi, se non cogli l'occasione, al prossimo giro in libreria rischi di non trovarli più e di doverli ordinare, cosa che io finisco sempre per non fare).
Ci sono libri tra gli scaffali un po' polverosi delle mie librerie, spesso scovati tra quelli ancor più polverosi del mercatino dell'usato che cito spesso, che non sono molto conosciuti o praticamente sconosciuti, ma che io ho amato molto e custodisco gelosamente. A mio avviso sono piccole perle, poi, certo, i gusti sono gusti ed altri potrebbero non piacere, ma sono felice di poter dare loro un attimo di luce, un po' di aria ... e forse loro ringraziano.
Ne ho vari e questa settimana incomincio con tre di essi.
Lungo la strada - Herman Bang (Guanda, 1989)
Lo trovai da Remainder's a Roma, svariati anni fa, questo libro piccolo, dalla copertina così serena, rilassante, luminosa, che mi aveva attratta irresistibilmente. Ricordo che lo lessi lentamente, assaporando pagina per pagina e trovandovi una grande tranquillità. E' definito come un capolavoro del naturalismo nordico, questa storia che si svolge tutta in un minuscolo scalo ferroviario, dove vivono il capostazione e la moglie, la dolcissima Katinka, che ne è la protagonista, e attorno cui ruotano vari personaggi, tutti particolari e deliziosi. E' anche una storia d'amore, lieve, che coinvolge la giovane donna ed il nuovo fattore che giunge nella cittadina, ma non è di quelle cui siamo abituati nei romanzi di oggi, è proprio "d'altri tempi". Monet definì lo scrittore danese Bang, come il "primo degli Impressionisti" e leggere questo suo romanzo è proprio come fermarsi ad osservare un quadro impressionista, tra luci, ombre, movimenti dell'aria e colori. recentemente Iperborea, casa editrice specializzata in letteratura nordeuropea (che mi affascina moltissimo - amo i paesi del Nord), ha ristampato alcune sue opere, tra le quali La casa bianca e La casa grigia, che non mancherò di leggere. Per avere qualche notizia in più, si può leggere qualcosa anche qui.
Cacciatore di ombre - Bruno Modugno (Vallecchi Editore, 1984)
La storia di svolge sulle pendici di un promontorio proteso nel mare, che si intuisce, dalle descrizioni, essere il Monte Argentario in Toscana ed è ambientata durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, che tuttavia giunge soltanto come un'eco lontana. Racconta dell'adolescenza di Erasmo, è quindi un romanzo di formazione, sulla scoperta dell'amore, in cui il protagonista si muove in un mondo a metà tra terra e acqua, tra i profumi della macchia mediterranea, dove sembra celarsi un realtà fantastica e leggendaria, metafora dell'infanzia che a poco a poco sfugge via e che conduce il protagonista verso l'età adulta. Quando lo lessi, vari anni fa, ricordo mi piacque subito e lo associai in qualche modo a L'isola di Arturo della Morante, un libro che amo moltissimo, per le ambientazioni e la storia.
Il gioco degli immortali - Massimo Mongai (Mondadori, 1999)
E' un romanzo di fantascienza di uno scrittore romano che ha vinto il Premio Urania nel 1997 con Memorie di un cuoco d'astronave. Ho letto questo libro molti anni fa ed i miei ricordi sono ormai un po' sbiaditi, ma so che all'epoca mi era piaciuto molto. Il protagonista muore subito e poi muore ancora e ancora e rivive mille volte, una vita dopo l'altra, in un mondo alieno lontano ed ogni volta cerca di capire chi è che lo riporta sistematicamente in vita, dandogli tutte le armi necessarie per sopravvivere. Il finale è sorprendente ed il libro scorre via veloce. Ho letto in giro che alcuni hanno criticato il romanzo che pare essersi ispirato a varie altre opere di fantascienza, ma io credo valga comunque la pena leggerlo e nel caso, ho scoperto, lo si può fare qui, dove ci dovrebbe essere l'intero testo, se non erro.

giovedì 13 settembre 2012

Riti di orto e vendemmia


Ieri mattina, come sempre, mi sono alzata poco dopo le 6. Dopo aver espletato tutte le attività che la dieta che seguo da due settimane mi impone( ebbene sì, finalmente mi sono messa a dieta per perdere i chili rimasti dopo la gravidanza e che sembrano non avere molta intenzione di andarsene e mi sono affidata all'omeopata e dietologa di un'amica che mi ha dato un programma da seguire che include anche un po' di ginnastica mattutina), mi sono fermata un attimo a guardare fuori. La campagna era immersa nella nebbia e sembrava una mattina di inizio autunno. Io ho un gigantesco debole per l'autunno. Sono uscita cercando di fare pianissimo per non svegliare mia figlia che dormiva di sopra e ho scrutato il mio orto. Ecco, pareva un orto di guerra in uno stato davvero pietoso. Ho deciso di non procrastinare oltre e di mettere mano agli attrezzi del caso, raccogliendo cipolle, eliminando le piante di pomodori e zucchine che ormai si sono esaurite (lo faccio sempre con un certo dolore, lo ammetto, perchè non mi piace recidere le piante e spesso capita che aspetti che si secchino naturalmente, finendo per non essere pronta per le coltivazioni successive).
E' bellissimo lavorare in giardino all'alba, nel silenzio, ed in particolare nell'orto. L'orto ed io abbiamo un lungo e viscerale legame, che mi riporta all'infanzia, a quando con mio nonno trascorrerevo ore infinite e luminose nel suo orto. Nella mia mente quindi l'orto è un luogo un po' magico, dove la vita nasce, muore, si rigenera all'infinito in maniera misteriosa. Un luogo cui sono legatissima da un filo invisibile che mi lega al passato.
Nel mio orto-giardino abbiamo anche piantato due viti di uva fragola a spalliera contro i muri. Forse era un po' presto, ma, assaggiandola, risultava matura e vari chicchi in alcuni grappoli cadevano da sé, segno dell'avvenuta maturazione. Così ho deciso di vendemmiarla e di lasciarne solo qualche grappolo ancora.
Ecco allora che alla mente si è riaffacciato un altro momento del mio passato: la vendemmia. Durante i primi anni di università, una mia amica mi suggerì di partecipare alla vendemmia, per fare qualche soldo. Seguii il suo consiglio e mi aggregai ad una signora ed alle sue figlie, che abitavano nel mio palazzo e che conoscevo fin da bambina, che andavano a vendemmiare per una tenuta agricola vicina a dove abitavo. E' stata una esperienza così intensa e significativa per me ed ancora la ricordo vividamente.
Rammento l'immensa fatica fisica, perchè i filari erano tutti disposti sulle colline (si parla delle colline del Piemonte, in provincia di Alessandria), il fresco pungente dell'alba, mentre vallate e colline erano immerse in un'aria fumosa di nebbia e luce, il profumo della terra bagnata dalla rugiada del mattino e quello dell'uva matura che si staccava sotto la lama delle cesoie, i ragni e le loro meravigliose ragnatele intrise anch'esse di rugiada, le pause in cui si pranzava, seduti per terra, guardando gli immensi platani frondosi vicino alla tenuta, le canzoni e le risate mentre si vendemmiava, il sonno pesante che scendeva la sera annullando la mia vita e facendola sprofondare in un buio senza sogni, rigenerante.
In quei momenti ho pensato molto ai miei nonni, che erano nati contadini, alla fatica terrosa che aveva caratterizzato la loro giovinezza, prima di emigrare dall'Emilia in Svizzera e ricordo di aver provato la sensazione di un ritorno alle radici, alle mie radici vere, che sono nella terra, nei campi, nei boschi.
Non sono mai stata una bevitrice, fino a qualche anno fa ero pure totalmente astemia, tanto che alla fine della vendemmia ci offrirono da bere del vino ed io ricordo che lo assaggiai appena. Da qualche anno ho iniziato ad assaggiare. Gusti che mutano e che sperimentano nuovi sapori. Continuo a non essere un'amante appassionata del vino, ma lo sento così carico di qualcosa di antico, atavico, che mi affascina.
Qualche anno fa, sempre nel mio solito mercatino dell'usato, mi imbattei in un libro molto bello, che comprai subito per pochi euro: "Della vite e del vino - Il Succo dell'immortalità nelle lettere e nei colori" (a cura di Oddone Longo e Paolo Scarpi, Claudio Gallone Editore, 1999), che è davvero una meraviglia per gli occhi grazie alle riproduzioni di quegli affascinanti dipinti del passato dove compaiono infinite varietà di uva e di frutti, spesso ormai perduti a causa della globalizzazione che ha, tra le tante cose, di cui alcune indubbiamente positive ed altre decisamente meno, portato ad un appiattimento dei nostri gusti e delle forme che ci piace ritrovare sulla tavola quando mangiamo frutta e verdura. Tema, quello delle varietà perdute, che mi ha sempre molto intrigato e che avrebbe voluto essere il mio argomento per la tesi del master sui parchi e giardini e che, purtroppo, per i soliti motivi accademici, ho dovuto abbandonare.
Mentre la piccola dorme, mi perdo dietro questi grappoli dipinti, gustandone il sapore con gli occhi.

mercoledì 12 settembre 2012

Misantropia? A proposito di boschi...

Quando vado a passeggiare in mezzo alla natura, solitamente non ho voglia di incontrare altri esseri umani. Non so, forse è un attacco di misantropia? Certo, dipende da chi si incontra. Talvolta in posti sperduti, quando pensi di essere l'unico essere umano rimasto sulla terra, saltano fuori dei turisti tedeschi o, comunque nordeuropei e ti ritrovi a guardarli quasi con ammirazione. Ti viene da pensare: "Ecco, loro sì che conoscono le meraviglie del nostro territorio!"
In ogni caso, quando mi addentro tra rocce e frasche, mi piace essere sola (o meglio, con il mio compagno) e, anche se può apparire come un po' antipatico, quasi sempre non gradisco l'incontro con altri uomini, forse perchè, il più delle volte, si rivelano troppo rumorosi.
Dico questo perchè domenica, nonostante un crescente mal di testa, con il mio compagno e la mia bimba (lo so, i bambini sono automaticamente rumorosi), abbiamo deciso di fare una breve gita in un luogo che amiamo molto: la Faggeta di Soriano nel Cimino, un bosco che ricopre circa 60 ettari, in mezzo al quale spuntano grandi massi di origine vulcanica, che ha un fascino irresistibile.
E' un bosco molto particolare, dove gli alberi svettano altissimi, quasi privo di sottobosco, con massi tondeggianti che sbucano dal terreno e che sembrano stati poggiati appositamente. E' davvero un posto magico ed estremamente silenzioso. Non si sentono neppure i cinguetti degli uccelli. Solo il vento tra le fronde dei faggi. Entrare in questa faggeta è come entrare in un bosco fatato. Sembra che gli alberi ti osservino severi ed al tempo stesso benevoli mentre si cammina tra essi. Anche i massi appaiono vivi e vigili, come sentinelle che sorvegliano la cima del monte in cui culmina la faggeta.
Per me questo bosco è una specie di santuario, di cattedrale, da attraversare con rispetto, da ascoltare con attenzione.
C'è una strada che sale fino a giungere vicino alla cima del monte e lì si trova anche un parcheggio con ristorante, quindi spesso capita di trovare molte persone nei fine settimana (infatti cerchiamo sempre di andarci in momenti differenti), ma solitamente basta abbandonare il sentiero principale per riuscire a seminarle.
Domenica scorsa, ahimé, la faggeta era stata scelta da un enorme gruppo di persone giovani e meno giovani, come luogo per una festa o qualcosa di simile. Certo, non dico che non ne avessero il diritto, ma abbiamo dovuto camminare un bel po' per sentire il silenzio.
In quel momento ho avuto il mio attacco di misantropia e mi è sembrato come se il santuario fosse stato violato.
Mi ha reso particolarmente orgogliosa vedere come mia figlia, che non ha neanche diciassette mesi, abbia camminato veramente a lungo attraverso il bosco, inerpicandosi anche in salita, e come soltanto quando la pendenza era diventata davvero troppo impervia per lei, mi abbia chiesto di venire in braccio, per poi tornare a camminare da sola nel percorso di ritorno. Almeno fino ad adesso ha dimostrato di essere una provetta camminatrice.
Infine la pioggia ha scacciato tutti. Noi e la festa. Eppure è stato bellissimo riattraversare il bosco mentre i tuoni riempivano il cielo e le prime gocce iniziavano a scendere. Il monte ci scrollava via, gigante infastidito da piccoli insetti affaccendati.
Ci siamo avviati verso casa lasciandoci cullare dallo scrosciare della pioggia sulla nostra macchina. Sembrava un'avventura d'autunno e così mi sono sentita felice.
PS: A proposito di faggi... il faggio è un albero che amo molto. Da sempre ammantato da un'aura divina e probabilmente associato al dio Giove, prima di essere soppiantato dalla quercia, il faggio è un albero che ha spesso ispirato leggende e credenze popolari, tra le quali quella secondo la quale non viene mai colpito dal fulmine. Forse saremmo potuti rimanere tranquillamente a guardare la pioggia cadere tra gli alberi mentre tutti scappavano via?