domenica 25 marzo 2012

La cultura è come un albero

Qualche settimana fa, Grazia di ToWriteDown ha lanciato un'idea ardita e bellissima: quella di costruire un Manifesto per riprenderci la cultura, lasciando ampia libertà di spaziare in ciò che ciascuno intende per cultura. Da giorni pensavo a cosa essa è per me e ogni volta un'immagine appariva nella mia mente (banale, certo, ma è questo il pensiero fisso che avevo e ho deciso di seguirlo).
Immagino la cultura come un albero. Ognuno di noi ha un suo albero, ovvero una sua cultura, personalissima, e tutti questi alberi insieme formano un bosco, ovvero la Cultura.
Immagino la cultura come un albero perché la sua forma è, a mio avviso, la più adatta a visualizzare il mio modo di intendere la cultura. Un albero ha radici, un fusto che si inerpica verso l'alto e rami e foglie che si diramano e si tendono verso il cielo, continuando a crescere, ad espandersi. L'albero cresce sia verso l'alto che verso il basso.
Le radici sono il nostro passato, ciò che ci è stato trasmesso dalla famiglia, dalle generazioni prima di noi, da tutta l'umanità che ci ha preceduto. E queste radici crescono, perchè con il passare del tempo si scoprono e riscoprono le connessioni con questo passato e da esso si trae nutrimento per svilupparsi ancora.
Il fusto è il nostro presente. La solidità di tutto quello che siamo diventati, che abbiamo imparato, fatto nostro, che ci struttura come persone.
I rami e le foglie sono il nostro futuro, tutti gli stimoli che ci giungono ogni giorno da più parti e che col tempo si approfondiranno per crescere e creare ancora nuove idee, riflessioni, pensieri. Nuovi rami e nuove foglie. Nuove radici. Nuova corteccia.
Penso allora al mio albero. Ci sono alcune cose che caratterizzano le sue radici. In particolare penso a ciò che mi è stato trasmesso dalla mia famiglia, direttamente o indirettamente. Sono tante le cose che sorreggono il mio albero. Numerose e variegate.
Cerco di focalizzarne alcune attraverso dei ricordi. Mio nonno che, portandomi con lui nell'orto, mi ha insegnato l'avvicendarsi delle stagioni, il rispetto e l'amore per la natura e gli animali, ma anche il modo in cui si semina, si coltiva, si raccoglie, si prepara il terreno per il futuro, come si modella la creta per farne delle statuine, come si possano aggiustare le cose che si rompono. Mia mamma e mia nonna che lavoravano a maglia, rammendavano o cucivano o preparavano cibi come i tortellini, i baci di dama, le frittelle. Mi sono resa conto che ci sono cose che ho imparato senza mai averle provate a fare, ma solo avendole osservate mille e mille volte in infiniti pomeriggi. Da loro ho imparato come si travasano le piante, come si fanno le talee, come basta a volte un piccolo pezzo di una pianta per farne altre. Dalla mia famiglia ho imparato a stupirmi per un arcobaleno, per un tramonto, per la luce del mattino, per la bellezza di un fiore o di un paesaggio, per l'apparire improvviso di cinciallegre, pettirossi e rondini. Da mio padre ho imparato quanto siano importanti i libri. Non mi ha mai detto nulla in proposito e le nostre letture sono sempre state piuttosto diverse, ma la casa era piena di libri grazie a lui ed, io, solo vedendoli, ho imparato ad amarli. Anche mio padre mi ha insegnato ad amare la natura, quando mi portava in macchina in giro per la campagna con la macchina fotografica per cercare di immortalare una lepre, un fagiano, una volpe. Non so da chi ho imparato ad orientarmi nello spazio con la conoscenza dei punti cardinali e con l'osservazione del sole, della variazione della luce, delle stelle.
Tutte queste radici, fatte di tradizioni, di conoscenze tramandate di generazione in generazione, di saperi che molto hanno a che fare con la manualità ed il contatto con la natura, si intrecciano con tutte quelle che si sono formate negli anni attraverso la scuola, le esperienze, gli incontri, le letture, le visioni, le conoscenze che hanno costellato la mia vita e che costituiscono un bagaglio più etereo, mentale.
Per me cultura è tutto ciò che ha lasciato una traccia in questo scorrere di anni. Ciò che ho imparato, ciò che ho dimenticato o che mai mi è entrato in testa.
Ci sono libri letti durante l'adolescenza che sono ormai costituenti fondamentali dei tessuti del mio albero. Così come ci sono film, opere d'arte, oggetti e fatti che sono andati a sedimentarsi ed a costituire numerosi dei suoi anelli. Ci sono anche persone che, in questi anni, trasmettendomi le loro conoscenze intellettuali e manuali, sono divenute tasselli importanti della mia cultura.
In questo mondo oggi così vario, in continuo mutamento, in perenne movimento, i rami e le foglie che nascono e crescono ogni giorno sono infiniti. Ognuno di noi oggi ha modo di arricchire la propria cultura anche grazie alla potente risorsa del web, che permette di seguire un proprio autonomo percorso tra le conoscenze, grazie alla possibilità di selezionare i contenuti ritenuti interessanti, spesso con voli pindarici che conducono lontano dall'input iniziale e permettono talvolta di scoprire nuovi campi di interesse. Spesso si ritiene che le conoscenze ottenute tramite Internet siano superficiali e di scarsa qualità, ma, con le dovute attenzioni, penso sia un ottimo modo per dare modo alle idee di circolare e quindi di fare in modo che si sviluppino nuovi impulsi culturali.
La cultura è, secondo me, ricerca e scoperta e, per rimanere sul tema dell'albero, penso che ci sia una sostanza che le dà modo di radicarsi, svilupparsi e crescere infinitamente. Questo nutrimento credo sia la curiosità. Dalla curiosità, intesa in senso ampio, nascono molte delle idee, delle azioni e dei pensieri che danno poi vita alle diverse manifestazioni della cultura.
Poiché ognuno di noi è diverso, come dicevo all'inizio, immagino che la Cultura sia fatta di tanti alberi che formano un bosco. Esistono poi diversi tipi di boschi, costituiti ciascuno da varie essenze prevalenti, tante Culture differenti all'apparenza, ma ugualmente fatti di alberi, a loro volta costituiti, ugualmente, da radici, fusto, chioma.
Le idee che ho abbozzato con queste mie parole non riescono ad esprimere pienamente quanto intendevo dire a proposito della cultura e molte di esse andrebbero riprese, approfondite e sviluppate. Purtroppo non so se avrò modo di farlo. Per il momento mi accontento di questo mio modesto contributo per aderire al progetto di Grazia, che, a mio avviso, merita grande attenzione, soprattutto in un periodo in cui il concetto di cultura va soggetto ad interpretazioni unilaterali. Ma questo meriterebbe un altro post ed altre parole ...

domenica 18 marzo 2012

Come si cambia

In questi giorni varie cose mi hanno tenuta piuttosto lontana dal web: la mia bimba cammina da tutte le parti tenendosi ai mobili, per cui la devo seguire di più; la mia connessione è più o meno inesistente: la pennetta non funziona quasi mai e non riesco a caricare pagine, scrivere mail, post e commenti (oggi ha funzionato per poco e poi mi ha riabbandonato...tanto è vero che la prima stesura del post se ne è andata via con la connessione...); la primavera mi invita a stare fuori a godermi la luce ed il verde nascente; lavoro di battitura testi, faccende di casa e impegni universitari riempiono i buchi rimasti. Tuttavia questa settimana mi ha portato numerose riflessioni e tanti pensieri, a sprazzi, improvvisi, fluttuanti, per immagini, o per sensazioni, o per ricordi. Ho avuto modo di ripensare ad alcuni episodi della mia infanzia, ad altri momenti vissuti intensamente anche negli anni scorsi, a come sono cambiata, a come mi sono ritrovata, a come mi sono riscoperta. Sarà la primavera alle porte...
Ogni anno mi ritrovavo ad inizio primavera ad affrontare il medesimo problema o, meglio, stato d'animo: un profondo senso di inadeguatezza ed impreparazione al ritorno della primavera. Mi spiego: quando incominciavano ad intravedersi i segni del suo arrivo, con il verde e la luce che inondavano tutto, io mi sentivo felice e trepidante, ma quando mi ritrovavo improvvisamente immersa nel pieno dell'esplosione della primavera, venivo inondata da un profondo desiderio di rifugiarmi ancora nell'inverno, nella sua atmosfera di raccoglimento, nei suoi colori tenui e nella sua luce smorzata.
Quest'anno, invece, nonostante ancora non sia veramente arrivata la primavera, mi sento più preparata, più predisposta a lasciarmi permeare dalla sua luminosità, dai suoi colori brillanti, dalla sua vitalità.
Questi pensieri mi hanno portato a pensare a come sono cambiata da quando è nata la mia bambina e a come anche la mia visione del mondo e di me stessa è mutata. Un tempo non avrei mai fatto certi pensieri, perché mi sarei sentita patetica. Oggi, invece, ho cambiato opinione su varie cose. Mi sono inoltre resa conto che, se è vero che io le ho dato la vita, al tempo stesso mia figlia ha fatto a me dei doni. Regali che hanno trasformato il mio modo di vedere.
Questi sono, fra i tanti, i doni che la mia bambina mi ha regalato:
- la flessibilità
- l'indulgenza nei confronti degli altri e di me stessa
- un tocco di sana incoerenza
- la "lentezza"
- la capacità di non giudicare - o di pensare bene prima di giudicare - i comportamenti degli altri
- la consapevolezza che per essere felice mi bastano poche semplici cose
- una maggiore dose di ottimismo e di positività
- la possibilità di recuperare aspetti del mio carattere ed interessi profondi che avevo tralasciato
Da quando c'è la mia bambina, le mie priorità sono cambiate e alcune cose, cui un tempo attribuivo troppa importanza, sono state abbandonate per altre più autentiche e vere. Il mio modo di essere è divenuto più luminoso, più aperto e ricettivo.
Questa primavera nascente sarà per me la primavera della mia piccola, perché fra meno di un mese compirà il suo primo anno di vita. Sì, forse sono un po' patetica, ma una patetica felice.

Chiudo, ancora una volta, con un aforisma tratto da "Aforismi sulla radice degli ortaggi" (qui e qui), che racchiude il senso di alcuni dei doni di mia figlia:
"La terra lordata di escrementi è più fertile, un'acqua pura non sempre è ricca di pesci.
L'essere nobile, dunque, deve serbare in sé una qualche impurità anziché volersi distinguere per una purezza senza macchia."

venerdì 9 marzo 2012

A che gioco giochiamo

Oggi voglio parlare di "A che gioco giochiamo" di Eric Berne. Non si tratta di un libro sui giochi dei bambini, ma sui giochi degli adulti, giochi che hanno a che fare con il divertimento, ma con i comportamente e gli atteggiamenti che abitualmente assumiamo nella nostra vita.
Per motivi di studio mi sono imbattuta nell'analisi transazionale e, avendo trovato l'argomento interessante, ho deciso di approfondire.
Una breve premessa su cosa sia l'analisi transazionale: è un tipo di analisi terapeutica che si basa sullo studio delle transazioni, ovvero dello scambio di carezze. Le carezze sono intese non come solitamente intendiamo la carezza, ma come un atto che implica il riconoscimento di un'altra persona; in pratica è la base delle relazioni sociali tra le persone.
Il libro, almeno nell'edizione che ho preso in biblioteca e che è un po' vecchia, presenta una interessante introduzione di Furio Colombo, in cui si chiarisce l'intento del testo, ovvero riconoscere il gioco che stiamo giocando e quindi il ruolo che ci siamo assegnati o che ci è stato dato da altri, per liberarcene e "guarire".
Il testo si divide poi in tre parti: la prima spiega cos'è l'analisi transazionale e cosa sono passatempi, rituali e giochi (sempre nel senso riferito sopra); la seconda presenta vari esempi di giochi; la terza spiega l'importanza dei giochi, ma, soprattutto, della conquista dell'autonomia.
Alla base delle riflessioni vi è la constatazione che in ognuno di noi vi sono diversi Stati dell'io, che ci fanno cambiare atteggiamenti, punti di vista, voce, vocabolario ed il comportamento in generale, ovvero: Genitore, Adulto, Bambino. Ognuno di questi Stati ha un'importanza fondamentale per l'organismo. Il Genitore ricorda le figure dei genitori che abbiamo avuto, in senso positivo e negativo; l'Adulto è quello che ci fa vedere la realtà in maniera obiettiva ed il Bambino, se naturale e non condizionato, rappresenta l'intuizione, la spontaneità e la creatività.
L'analisi transazionale individua quale Stato dell'io attiviamo in vari tipi di transazioni. Il discorso poi diviene un po' complesso, perchè entra nel dettaglio dei vari tipi di transazioni, ma, per capire di che si parla, un esempio è quello del marito che chiede alla moglie dove sono i suoi calzini. La moglie può rispondere con il suo Adulto e dire che non lo sa e che forse stanno nel cassetto, oppure rispondere che è ora che lui badi alle sue cose e a parlare è il suo Genitore interiore, oppure accusarlo di insinuare che lei non sistema le cose a dovere e, in questo caso, ad intervenire è stata la Bambina.
La parte centrale del libro, che speravo fosse la più interessante perchè presenta un'antologia di giochi, in realtà è un po' macchinosa, perchè entra in dettagli terapeutici.
La sezione finale, invece, di poche pagine, è quella che mi è piaciuta di più e che mi ha stimolato varie riflessioni. Come dicevo, parla soprattutto dell'autonomia. E' la parte più luminosa del libro, rispetto al resto che disegna invece un quadro un po' cupo, anche se purtroppo realistico, di molti dei rapporti umani, chiusi a volte in una ritualità che si ripete all'infinito senza che vi siano scambi reali.
Cito: "L'autonomia si conquista quando si liberano o si recuperano tre capacità: consapevolezza, spontaneità e intimità." E ancora: "Consapevolezza significa capacità di vedere una caffettiera e di sentire cantare gli uccelli a modo nostro e non come ci è stato insegnato." Berne fa l'esempio del bambino che vede ed ascolta gli uccelli e ne è felice, poi il padre gli insegna a distinguere passeri da ghiandaie e questo è giusto, ma da quel momento il bambino non sarà più capace di vedere gli uccelli e di sentirli cantare senza distinguere passeri da ghiandaie.
Questo mi ha fatto venire in mente una cosa che mi disse il mio compagno le prime volte che mi indicava posizioni e nomi di stelle e costellazioni. Disse che gli dispiaceva di non poter vedere più le stelle come le vedevo io, cioè solo stelle, sparse nel cielo, mentre lui, inevitabilmente, vedeva i disegni delle costellazioni ed individuava i vari astri a colpo d'occhio, perdendo così il piacere di osservare solo e semplicemente la bellezza della volta celeste. (Per fortuna io, che pure amo guardare stelle e costellazioni con lui ad occhio nudo e al telescopio, continuo a non riuscire - o forse è uno sforzo consapevole? - a memorizzarle tutte, a parte le principali e quelle che conoscevo già da bambina.)
Tornando al discorso sull'autonomia, a proposito della consapevolezza Berne dice ancora: "La persona consapevole è viva perché sa che cosa prova, sa dove si trova e quale momento vive. Sa che quando sarà morto gli alberi ci saranno ancora e lui no, e perciò vuole guardarseli e goderseli il più possibile."
A tal proposito riporta un aneddoto che voglio ricordare:
"C'era una volta un cinese che andava a prendere la sotterranea; il compagno bianco gli disse che avebbero risparmiato venti minuti con l'espresso, e così presero l'espresso. Quando uscirono al Central Park, il cinese si sedette tranquillamente su una panchina. L'altro lo guardò, sorpreso. -Be'-, gli spiegò il cinese, -visto che abbiamo risparmiato venti minuti, possiamo starcene seduti un po' qui a goderci il parco.- " L'aneddoto direi che si commenta da sé.
La riflessione di Berne continua poi su spontaneità ed intimità, che si raggiungono con la liberazione del nostro Bambino. L'autore argomenta sul tema dell'adattamento che ognuno di noi attua rispetto all'insegnamento dei genitori. E' qui che la riflessione mi agita mille pensieri, perchè Berne ricorda che i genitori insegnano ai figli come comportarsi, pensare, sentire e percepire, in maniera più o meno premeditata e che magari con le migliori intenzioni, e che ogni individuo può affrancarsi solo quando raggiunge l'autonomia, cioè quando diventa capace di consapevolezza, spontaneità, intimità, che gli permettono di distinguere quali insegnamenti deve accettare e quali respingere. Penso allora ai miei genitori e a quante cose dei loro insegnamenti ho fatto mie, ma anche a quante di esse ho dovuto faticosamente respingere per non avere paure, incertezze e comportamenti che ritenevo non consoni con me stessa. Ovviamente la riflessione si spinge a considerare ciò che io insegnerò a mia figlia, ciò che lei deciderà di portare con sé nel suo futuro e cosa invece dovrà o vorrà respingere per essere se stessa fino in fondo.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro.

sabato 3 marzo 2012

In ricordo del 3 marzo 1923

Oggi sarebbe stato l'ottantanovesimo compleanno di mia nonna, ma purtroppo lei non è più qui per festeggiarlo. Vive nella mia memoria e la sua casa, che ho così meticolasamente fotografato dopo la sua morte, per paura di dimenticarla, è in realtà scolpita nella mia mente come un intarsio nella pietra. La sala con il divano rosso, con l'eterno suono della macchina da cucire, gli spilli colorati persi sul pavimento e piante rigogliose come non ne ho mai più visto in casa di nessuno; la cucina profumata di frittelle di farina di castagne, caffè macinato e pizza fatta in casa; la sala con la televisione ed il divano dove mi accoccolavo accanto a lei che guardava la televisione; il terrazzo da cui d'estate guardavo le stelle cadenti; lo sgabuzzino traboccante di oggetti messi da parte meticolosamente perchè tutto poteva essere utile e niente si buttava, ma si riusava.
Vorrei dire e ricordare tante cose di lei, ma tutti i pensieri ed i ricordi sono racchiusi dolorosamente e preziosamente dentro di me. Oggi, però, vorrei ricordarla con qualche riga che avevo scritto qualche anno dopo la sua scomparsa, cercando di riportare alla memoria le sensazioni che provavo quando passavo a trovarla d'inverno, cosa che accadeva tutti i giorni, dal momento che abitava nel mio stesso palazzo. Quella che descrivo è quindi una sensazione che racchiude una grande parte della mia vita.

"Mentre la musica mi ipnotizza e fa socchiudere i miei occhi, ricordo quando d’inverno scendeva veloce la sera e io andavo a casa di mia nonna per salutarla.
Tenendo le mani sul termosifone caldo, avvicinavo il viso al vetro gelido e spiavo, attraverso il vapore del mio respiro, le luci aranciate sperdute nel buio, sentendomi avvolta dal tepore, dalla sicurezza e dalla perfezione di quel momento.
Con le sue mani calde e nodose tentava di scaldare le mie. Le mie conservano ancora nella loro memoria, la forma delle sue dita, i nodi dell’artrite che le rendevano grosse e storte, come radici forti ma sofferenti, il palmo reso liscio dal troppo lavoro, consumato dalla fatica, la fede e gli altri anelli che portava ormai fusi alla pelle, che suonavano una melodia metallica e disordinata mentre strofinava le sue mani alle mie.
La televisione sciorinava le sue risate e i suoi commenti sul mondo, tra la sigla di Ok il Prezzo è Giusto e quella del telegiornale, e anche la luce del lampadario pareva ronzare e parlarmi, ma io ero avvolta in un silenzio tutto mio, infranto da pochi cari suoni: il respiro concentrato e mormorante della nonna e l’intrecciarsi ritmico dei ferri con i quali prendeva vita un nuovo maglione."

Buon compleanno, nonna. Ovunque tu sia.

venerdì 2 marzo 2012

Oblio

"Oblio" di David Foster Wallace. Nell'estate del 2009, per caso, leggendo un articolo, scoprii questo scrittore. Ne fui incuriosita e decisi di andare in libreria per trovare qualcosa. Trovai "Oblio", ordinai "Infinite Jest" e "Questa è l'acqua". Ne è nato un amore contorto e difficile, fatto di passione e repulsione.
Non è facile da leggere, soprattutto per il suo modo complesso di scrivere. Periodi lunghi, lunghissimi, con preposizioni subordinate all'infinito. O almeno è così in alcuni dei suoi testi. I suoi temi, ugualmente, non sono facili e, almeno per me, all'inizio non troppo accattivanti. Eppure ci sono folgorazioni intessute nei suoi testi, che ti spiazzano e ti portano a pensare. Wallace parla della società di oggi in modo disarmante, mettendo in luce discorsi ed argomenti che di solito esulano dalla letteratura. Tratta anche tematiche "basse", corporee, come il "fare la cacca". Ma non è neppure questo il punto. Mi colpisce per come sa mettere a nudo alcuni punti deboli che sento in me e che probabilmente - sicuramente - sono annidati nell'intimo della maggior parte delle persone. Spesso ciò che emerge dalle sue parole è crudo, crudele, ma talvolta tremendamente reale.
Penso al racconto "Caro Vecchio Neon", che mi ha sconvolto. Mi sono ritrovata a domandarmi se ero anch'io come il protagonista, cioè se avessi sempre fatto delle azioni "buone", con lo scopo unico di suscitare una reazione positiva di approvazione nei miei confronti da parte degli altri. Oppure a "Mr. Squishy", in cui vi è anche una riflessione sul fatto che si giunge prima o poi ad un'età in cui ci si accorge di non essere speciali e che non si cambierà il mondo e, ancora, che anche senza di noi le cose possono andare avanti benissimo.
Ne "Il Canale del dolore" si snoda una riflessione sul rapporto che la gente comune ha con la celebrità. Cito a tal proposito: "Il conflitto tra la centralità soggettiva delle nostre vite da una parte e, dall'altra, la nostra consapevolezza della sua oggettiva mancanza di significato. La collocazione di un genere di paura totalmente nuovo, della morte causata dalla demografia - il fatto che il terrore di rientrare nella media rientrava a sua volta completamente nella media."

Wallace si è suicidato. Eppure non era uno nella media. No di sicuro. C'era un dolore in lui, soffocante, non nella media. In "Caro Vecchio Neon" il protagoinista si suicida. E mi ha fatto male leggere quelle pagine col senno di poi. Così come mi ha fatto male leggere una frase che mi ha ricordato proprio lui, la sua vita: "A volte aveva la sensazione che senza l'affetto dei suoi cani si sarebbe dileguato con un soffio come euforbia". Da quanto ho letto, Wallace aveva dei cani che amava moltissimo.
In questi racconti è umanissimo e distante al tempo stesso. Con occhio solo apparentemente gelido scandaglia nell'animo umano del nostro presente, ma credo che poi porti alla luce quello che trova con un'infinita pietà.
Sono racconti che non mi hanno lasciata estatica per le sensazioni positive o per le immagini belle e poetiche che vi sono rappresentate. Non c'è tutto questo in essi. Ma c'è molto altro. Qualcosa che non so definire e che non è solo il fatto che fanno pensare. anche altri libri mi hanno fatto pensare. E' qualcosa d'altro. Che va oltre. E che è immensamente grande.

Ciò che ho riportato sopra è, con qualche lieve modifica, quanto scrissi subito dopo aver finito il libro nel novembre 2009, dopo mesi di difficile ed intensa lettura, a piccoli sorsi, per non farsi male, come quando si beve acqua ghiacciata d'estate. Adesso, a rileggere le mie parole, mi torna prepotentemente la voglia di leggere ancora le sue parole.

Per chi non conoscesse questo autore: Wallace è stato un importante scrittore e saggista statunitense, definito dal New York Times come l' Emile Zola post-millennio" e ritenuto la mente migliore della sua generazione. Opere forse più conosciute sono "La scopa del sistema" e "Brevi interviste con uomini schifosi". Qui un articolo che svela qualcosa della sua visione delle cose.

Questo post partecipa al Venerdì del Libro.

giovedì 1 marzo 2012

Elogio della Mooncup

Avrei potuto intitolare più chiaramente questo post scrivendo "Elogio della coppetta mestruale", evitando così anche la pubblicità a questa particolare marca (dal momento che ne esistono anche altre), oppure più patriotticamente intitolandolo "Elogio della coppa della luna", ma questo titolo mi sembrava più "evocativo".
Approfitto, quindi, di questo mio spazio per dire grazie alla coppetta mestruale (è una coppetta in silicone anallergico da usare durante il ciclo al posto degli assorbenti), che uso da soli tre mesi, ma che mi ha letteralmente conquistata.
Da tanto tempo volevo provarla, ma poi ci sono stati la gravidanza e l'allattamento e ho dovuto rimandare la prova. Mi ero ripromessa di iniziare ad usarla al ritorno del ciclo e così ho fatto.
Per chi ancora non l'avesse provata, io la consiglio caldamente. E' comoda, anzi comodissima. Le prime volte ho avuto qualche fastidio perchè, come con tutte le cose nuove, bisogna prenderci confidenza, ma poi tutto è passato. Ci sono stati anche piccoli problemi di gocciolamento, ma anche in questo caso è solo questione di pratica. Basta capire il posizionamento giusto.

Per me è una liberazione dai fastidiosi assorbenti, che inquinano, sviluppano cattivi odori e devi sempre ricordare di portare in borsa quando vai in giro. Certe volte mi sembra di non avere il ciclo. Mi sono dimenticata di averla.
Come dicevo sopra, ci sono varie marche. Io ho preso la Mooncup perchè conoscevo già qualcuno che la usava e poi perchè è quella che ho trovato in farmacia (avevo fretta di provarla e quindi l'ho presa subito), ma penso che anche le altre siano valide.
L'uso è semplicissimo, simile a quello degli assorbenti interni. Basta svuotarla e sciacquarla con acqua e sapone o solo con acqua se si è fuori e non si ha il sapone. A fine ciclo si fa bollire per 5-7 minuti e poi la si rimette nel suo sacchettino di cotone a riposare fino al prossimo "passaggio di luna".
Nell'arco di una vita, la quantità di assorbenti e tamponi che ogni donna usa sono tantissimi ed i tempi di smaltimento sono lunghissimi, dell'ordine di 500 anni. Se vi va, leggete qui alcuni dettagli e numeri impressionanti. Insomma, se avete voglia di un sistema più pratico, economico e che aiuti l'ambiente, scegliete una coppetta mestruale, di qualunque marca valida e sicura.
In questo modo mi sono riconciliata e riappropriata del prezioso, ma solitamente fastidioso ciclo femminile, periodo misterioso, di cui si parla poco, come fosse qualcosa che non esiste, e che nel corso della storia è stato usato come ulteriore motivo di oppressione nei confronti della donna da parte degli uomini. Giorni che, se si accantonano dolori e fastidi, potrebbero avere anche il loro fascino, così legati come sono alla ciclicità, alle fasi lunari, alla femminilità ed anche alla magia della nascita e della vita.
Ho scoperto l'esistenza di due libri sul tema mestruazioni, che sembrano interessanti. Forse prima o poi riuscirò a leggere anche questi (voglio sempre leggere troppe cose!). Ecco i titoli:
- Raffaella Malaguti, Le mie cose - Mestruazioni: storia, tecnica, linguaggio, arte e musica - Bruno Mondadori, 2005
Di questo ecco la descrizione: "Il libro propone una ricerca sulla storia culturale e dell'evoluzione del pensiero e della tecnica intorno alle mestruazioni. In Italia esse continuano a essere un fatto semi-privato, sono passate dall'essere "strumento di oppressione del patriarcato" a indefinibile "liquidino azzurro" della pubblicità. Non si analizzano tanto le ragioni di questo silenzio, perché studiose femministe italiane e straniere lo hanno già fatto, ma si gettano le basi di uno sguardo nuovo e divertito al ciclo, per alleggerirlo e donargli una dignità che lo inserisca a pieno titolo nella storia della donna, del costume e dell'arte."
- Alexandra Pope, Mestruazioni - la forza di guarigione del ciclo mestruale dal menarca alla menopausa - Terra Nuova Edizioni