mercoledì 26 dicembre 2012

Il mio Canto di Natale

Da un po' di anni a questa parte, ogni anno, all'approssimarsi delle feste natalizie, mi ritrovo ad andare in cerca dello Spirito del Natale Presente, accorgendomi infine con rammarico di riuscire sempre e solo ad incontrare lo Spirito del Natale Passato (o meglio dei Natali Passati). Ogni volta finisco quindi per rammaricarmene, per pensare che non riuscirò più a risentire quell'atmosfera magica di quando ero bambina, che ormai è tutto un inutile consumismo, che ogni cosa legata al Natale è per me priva di senso e significato, che mi pesano pranzi e cene in famiglia, perchè tanto ci si può vedere anche in altri momenti dell'anno, ecc. Da quando c'è mia figlia, poi, si è aggiunta la speranza di ritrovare quell'atmosfera quando sarà abbastanza cresciuta da sentirla. Ancora fino ad oggi non ero riuscita ad aggrapparmi a questa idea con troppa convinzione. Mi sono ritrovata così quasi alla Vigilia di Natale a lamentarmi di non riuscire proprio a sentirla questa benedetta atmosfera natalizia, trovando vano ogni sforzo in tal senso. Giustamente il mio compagno mi ha fatto notare che però dovevamo impegnarci per farla sentire alla nostra piccola, perchè lei ha il diritto di conoscere questa magia così speciale che ricorre una volta l'anno. Per fare un ulteriore tentativo, giorni fa ho deciso di leggere il "Canto di Natale" di Charles Dickens, che, mea culpa, ancora mancava all'appello dei miei classici. La storia è nota. Ho iniziato quindi a leggere con la consapevolezza di quanto sarebbe successo, ma poi mi sono lasciata stupire ed ammaliare dalla vivezza, dalla bellezza, dalla colorata veridicità della descrizione della mattina del Natale Presente che lo Spirito mostra a Scrooge. Questa descrizione, da sola, è capace di far risentire in pieno l'atmosfera delle mattine di Natale della mia infanzia, quando la neve imbiancava tutto fuori dalla finestra, quando le persone che si incontravano per strada salutavano con un'allegria ed un calore ingenuo ed assurdo, seppur bellissimo, quando la tavola era imbandita e traboccante delle cose buone cucinate da mia mamma e mia nonna (su tutte i tortellini fatti in casa galleggianti nel brodo fumante), quando i pacchi colorati da scartare con indosso il pigiama ed il calore dell'aspettativa notturna erano una promessa di tesori inauditi.
Ho proseguito nella lettura e l'ultimo capitolo, quando Scrooge si redime e cambia definitivamente il suo atteggiamento, è un vero tripudio di allegria. La felicità del personaggio, con il suo entusiasmo fanciullesco e folle, diviene contagiosa ed è impossibile resistervi. Almeno per me così è stato. Ed un passaggio, proprio nell'ultima pagina, mi ha molto colpito, tanto da decidere di annotarne una breve frase sulla mia lavagnetta in cucina (dopo aver deciso che d'ora in poi, invece di annotarvi sporadicamente le cose da comprare, vi scriverò sopra qualche frase che mi colpisce tratta da romanzi, poesie o altro, per poterle avere sotto gli occhi fin dal mattino). Si tratta di questo, che, a mio avviso, si commenta da sé:
"Qualcuno rise di questo mutamento, ma egli lo lasciò ridere e non ci fece caso, perchè era abbastanza saggio da sapere che nulla di buono succede su questa terra, senza che qualcuno, sulle prime, si prenda il gusto di riderne. E sapendo che tali persone sono sempre cieche, pensò che, in fin dei conti, era un bene che esse strizzassero gli occhi ghignando e non esprimessero invece i loro sentimenti in qualche altra forma meno piacevole. Del resto anche il suo cuore era tutto un sorriso, e ciò era per lui più che sufficiente."
Ieri è arrivato il Natale e posso dire finalmente che quest'anno qualcosa è forse cambiato per me. La sera della Vigilia siamo stati dai miei cognati. Purtroppo era presente solo una parte dei nonni. Eppure sono stata straordinariamente bene. E soprattutto mi si è allargato il cuore vedendo la mia piccola giocare con i cuginetti. L'anno scorso era troppo piccola. Quest'anno, invece, si rincorrevano, salivano sui gradini della scala, ridevano tra loro. La mattina di Natale lei ha scartato i suoi piccoli regali. un libro con tantissimi animali disegnati da riconoscere e nominare, il pupazzatto di Pimpi di Winnie Pooh che le piace tanto, un coccodrillo di legno da tirare con la cordicella regalatole dagli zii. Anch'io ho scartato i miei due regali. Quelli del mio compagno. Da un po' di anni a questa parte in famiglia abbiamo deciso di non farceli, ma quest'anno mi sono ritrovata a sceglierne due per il mio compagno, per poi scoprire che anche lui me ne aveva fatti un paio. A sopresa è arrivato anche un regalo da mia cognata: due deliziose tazze con dei gufetti. Mentre cucinavo i Baci di Dama ed il profumo delle nocciole inondava la stanza e mentre mia figlia giocava con i suoi nuovi giocattoli, la mia mente si è riempita dei Natali Futuri, fatti di serate come quella della Vigilia appena trascorsa, di risate e giochi fra i cuginetti, di gioia e di stupore negli occhi di mia figlia per le luci dell'albero, per i pacchi che racchiudono tesori inimmaginabili. Lo Spirito dei miei Natali Passati si  è allora trasformato in quello dei suoi Natali Futuri ed io, finalmente, ho fatto pace con il mio Natale Presente.

mercoledì 12 dicembre 2012

Una torta di mele senza burro e uova? Sì, è possibile...

Oggi sono inquieta. Mi sento come un insetto intrappolato in una lampada, che non riesce ad uscire e sbatte da una parte all'altra e più si agita e meno possibilità ha di trovare la via di fuga. Ondeggio tra una cosa e l'altra, faccio propositi e cerco di programmare i giorni a venire, ma il risultato è sempre lo stesso. Oggi non riesco a concludere nulla. Considerato questo, preferisco chiudere la giornata pensando alla mia nuova torta di mele, fatta appena ieri e ormai quasi finita. Premesso che il mio rapporto con la cucina è sempre di amore ed odio, un vorrei ma non posso, una ricerca di costanza e sperimentazioni che spesso finisce nel nulla, in questi ultimi giorni mi sto cimentando in alcune nuove ricette trovate qua e là sul web, sostanzialmente per provare ad eliminare i classici ingredienti tipo burro, uova, latte, ecc., ma anche per la curiosità di vedere se ciò è davvero possibile e con che risultati. 
Mi sono imbattuta quindi in una ricetta di una torta di mele senza burro e uova che ho trovato qui (sul sito Il bambino naturale) e che ho deciso di provare. Come sempre, mi sono dovuta ricredere su un mio pensiero fisso, ovvero che ci voglia parecchio tempo per poter cucinare qualcosa di nuovo. Questo è uno dei motivi per cui spesso desisto dal mettermi ai fornelli.
La ricetta è di una semplicità disarmante. Eccola:
200 g di farina
120 g di zucchero di canna
(io ho usato il Mascobado, quello delle Filippine, dal sapore molto particolare)
70 g di olio di mais
(io ho usato quello di girasole)
3 mele
1 pizzico di sale
acqua o latte vegetale qb
(io non l'ho usato perchè l'impasto era già perfetto anche senza)
cannella
1 bustina di cremor tartaro o lievito per dolci
(mi era rimasto solo il lievito vanigliato)
Si fanno cuocere le mele a pezzetti per qualche minuto con un cucchiaio di zucchero (un cucchiaio a parte in più rispetto ai 120 g previsti che finiranno nell'impasto) ed un cucchiaio di acqua. Poi si frullano le mele con lo zucchero e la cannella. Si uniscono gli ingredienti secchi e poi si aggiungono i liquidi. Infine si inforna a 180° per 45 minuti (io non ho usato il forno ventilato).
Non ho aggiunto le classiche fette di mela sopra, ma ho cosparso alla fine la superficie di zucchero a velo (lasciando un bel cuore al centro perchè ero in vena di romanticherie...). Il colore dell'impasto è scuro per via dello zucchero di canna ed il contrasto con il bianco dello zucchero a velo mi piace dal punto di vista cromatico.
Il risultato è stato sorprendente ed eccellente al tempo stesso. La torta è leggerissima, soffice e deliziosa. Sono rimasta davvero stupita. E' stata più che apprezzata anche dal mio compagna e dalla mia piccolina, tanto che ormai ne è rimasta ben poca. In questo caso mi sono proprio resa conto che uova e burro non servivano minimamente per avere una torta squisita. E' stata una piacevole scoperta.

domenica 9 dicembre 2012

L'occhio della pecora un anno fa ...

Più o meno un anno fa mi è capitato di vedere una cosa che, in quel preciso momento della mia vita, è stato determinante per le mie scelte. Forse era sotto le vacanze natalizie, comunque ricordo che faceva freddo. Stavo tornando a casa con la macchina, quando all'improvviso vidi una coda di auto davanti a me. Piano piano, a passo d'uomo si procedeva. Arrivata ad un incrocio, ecco il motivo del rallentamento. In mezzo alla strada, sdraiata su un fianco, c'era una pecora. Era stata investita da una macchina, ma era tutta intera. Un uomo era uscito dalla sua auto e stava usando il telefonino per chiamare qualcuno. La pecora era lì sola. Le macchine le passavano accanto incuranti. I conducenti un po' scocciati per il rallentamento. Intorno a lei un vuoto totale. Stava morendo ed era sola. Ad una persona non avremmo destinato lo stesso trattamento. Le saremmo stati vicino. Un sottile filo di sangue rosso cremisi le usciva dalla bocca. E poi l'occhio. Vidi il suo occhio. Il suo sguardo. Sgranato. Spaventato. Puntato verso il cielo. E sentii un dolore terribile. Quella sofferenza piena di solitudine. Quella morte che non importava a nessuno. In quel momento tante cose mi si collegarono nella mente. Pensieri che mi ronzavano da tempo nella testa. E decisi che non avrei più mangiato carne, perchè in quel momento pensai a tutti quegli animali che ogni giorno avevano negli occhi quello stesso sguardo per colpa nostra. Da allora è iniziato un percorso non facile, prima per farlo accettare a familiari ed amici (forse più per far accettare a me stessa il fatto di doverlo giustificare). Un percorso pieno di dubbi, non tanto su me stessa, ma sul comportamento da tenere nei confronti di mia figlia, per non imporle una mia scelta, per non farle rischiare carenze vere o presunte, per mediare con le scelte del mio compagno, che idealmente è d'accordo con me, ma adotta un'alimentazione che ancora include carne, anche se poca e da agricoltura biologica. Lui  teme che la privazione di questo alimento possa nuocere alla bambina e comunque ritiene che l'ideale sia limitarne il consumo il più possibile, mangiando però un po' di tutto.
E' un percorso che condiziona parecchio la vita e si entra in una spirale di pensieri da cui è difficile uscire. Perchè se è vero che una scelta del genere nasce dal desiderio di non far soffrire altri esseri viventi, nessuno può garantire che anche le piante non soffrano. Anzi, studi scientifici pare abbiano dimostrato il contrario, ovvero che le piante possano provare una sorta di emozioni. Come spesso mi dice il mio compagno quando sono afflitta da questi pensieri, il mio problema è che probabilmente non amo il modo in cui è concepito questo mondo, in cui, anche dietro la serenità del più meraviglioso ed idilliaco dei paesaggi, si nasconde sofferenza e lotta dura per la sopravvivenza.
Se la scelta vegana appare subito troppo estrema, leggendo ed approfondendo l'argomento, si comprendono molte delle ragioni di tale scelta, soprattutto per la triste sorte delle mucche da latte e delle galline ovaiole.
Casualmente, dopo un po' di mesi dall'inizio di questo cambiamento, una coppia di amici ha iniziato un percorso simile, diventando però presto praticamente vegana, piuttosto che vegetariana. Ho potuto così confrontarmi con loro su ricette ed alimenti sostitutivi. La dieta che ho dovuto seguire per un periodo mi ha portato a rimangiare il pesce, che avevo eliminato in precedenza. E ad oggi, mi ritrovo sempre combattuta su questo versante. Compro pesce pescato e non da allevamento, ma il problema non cambia. Inoltre ho sempre avuto problemi, prima ancora di questa scelta, proprio con i pesci, perchè ogni volta che entravo in pescheria e li vedevo sul bancone mi sentivo un po' angosciata dai loro sguardi liquidi che parevano scaturire ancora dalle profondità del mare, che ancora parevano conservare l'immagine di paesaggi sommersi a noi ignoti.
Il punto è che una volta che si fa il passo con la testa e con il cuore, poi non si riesce a tornare indietro. Se prima guardavo le mucche su un prato e pensavo: "Beh, tutto sommato fanno una bella vita, stanno all'aperto e in pace" (almeno per quelle che stanno qui nei dintorni), adesso quando le vedo, penso sempre che non sanno cosa le aspetta e che non trovo giusto riservare loro una fine così brutta.
Ho scoperto che il latte si può sostituire benissimo con quello di avena, soia, riso. Che burro e uova non sono così indispensabili nei biscotti e nelle torte. Che gli yogurt di soia sostituiscono bene quelli normali. Che il seitan è ottimo per preparare il ragù vegetale, cotolette, spezzatini, ecc. Idem la soia o il tofu (che poi è sempre soia). Ancora fatico ad abbandonare i formaggi, che sono sempre stati un mio grande amore, ma ci sto lavorando sopra. Sono sempre piena di dubbi su mia figlia. All'asilo non ho scelto per lei un menu differenziato, perchè volevo evitare problemi. Mi dico ogni volta che sceglierà lei come vorrà quando sarà cresciuta e che noi le insegneremo e spiegheremo come stanno le cose, per darle la possibilità di decidere da sola senza angosciarla. Ma non c'è una posizione che mi convinca completamente.
Il mio cammino è ancora in via di perfezionamento. Contrariamente agli amici di cui sopra, che hanno letto molto sull'argomento e visto filmati anche angoscianti sul web sul trattamento degli animali negli allevamenti, io non sono riuscita a leggere e vedere quasi niente. Non ne ho sentito la necessità ed ho voluto anche evitare a me stessa di starci troppo male. La bibliografia sull'argomento è ricca ed i personaggi famosi che hanno abbracciato questa scelta sono molti. Chi vuole può farsi una cultura sull'argomento. Da "Se niente importa. Perchè mangiamo gli animali?" di Jonathan Safran Foer a "Perchè sono vegetariana" di Margherita Hack, fino a "Il maiale che cantava alla luna. La vita emotiva degli animali da fattoria" di Jeffrey Moussaieff Masson e così via.
Sono incredibili le incongruenze presenti soprattutto nei libri per bambini (vedi soprattutto quelli incentrati proprio sulla allegra fattoria), ma in generale un po' dappertutto (ricordo ad esempio lo slogan su un sacchetto di un noto fast food: "Fiero di essere un vero pollo!"). Ci si rende conto che esistono animali di serie A ed animali di serie B. Animali che teniamo in casa e per cui saremmo disposti a rinunciare a tante cose ed animali che facciamo nascere e vivere solo per essere uccisi e consumati.
Ho intrapreso un percorso pieno di contraddizioni, errori, aggiustamenti, senza la volontà di fare la morale a nessuno, forse solo a me stessa, tendendo in una direzione.
Da tanto ne volevo parlare, ma è un argomento su cui fatico ad esternare la mia posizione, perchè la nostra vita è così impregnata da un certo modo di vedere le cose, che una posizione differente può apparire strana, estremista, troppo eccentrica, non equilibrata. Io non so se ciò sia vero o meno, ma so che ormai non posso fare a meno di seguire questa strada, cercando sempre equilibrio e tentando di limitare i danni, qualunque essi siano, cercando di non essere mai essere estrema e adattandomi alle situazioni. Non mi sarei mai aspettata da me una tale scelta, ma, a ben pensarci, ce l'avevo scritta dentro, dal momento che fin da piccola mi ritrovavo a salvare anche formiche ed insetti, pipistrelli e vermi. In famiglia non siamo mai stati dei gran mangiatori di carne. I miei genitori venivano da famiglie di contadini. Mio padre pascolava le mucche da bambino e di certo gli allevamenti all'epoca non erano quelli intensivi di oggi. Mio nonno materno non riusciva ad uccidere i maiali e le galline perchè aveva dato loro un nome e ci si era affezionato. Ho sempre visto mio nonno un po' come un San Francesco, che nell'orto riempiva i fusti dell'acqua fino all'orlo per far sì che gli uccellini avessero sempre da bere.Tutta la mia famiglia ha sempre amato molto gli animali.  Forse non poteva che finire così per me.
Sarebbero tantissime le cose da dire e vorrei tornarne a parlare, perchè i motivi di una tale scelta sono vasti ed abbracciano vari versanti ed ordini di idee e le riflessioni che ne scaturiscono sono moltissime. Non ultime quelle che riguardano lo sviluppo e la storia del genere umano, che è stato strettamente connesso allo sfruttamento degli altri esseri viventi. Cosa saremmo diventati se avessimo fin dall'inizio vissuto in modo diverso? Ci saremmo già estinti? Che mondo ci sarebbe oggi?
Per il momento mi limito a concludere con una frase di un sopravvissuto di Hiroshima con cui Elsa Morante aveva voluto aprire la quarta di copertina del suo "La Storia" (come riportato nel testo "I migliori anni della nostra vita di Ernesto Ferrero, di cui ho parlato qui):
"Non c'è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perchè della loro morte".
Ecco, io credo che questa frase parli da sé ed abbia un valore non solo per il mondo umano, ma a livello universale.

Nota: la foto della pecora è presa da qui.

martedì 4 dicembre 2012

Tornando a casa...

Qualche giorno fa sono stata nuovamente a trovare i miei genitori con la mia bimba. Il papà, purtroppo, causa lavoro, è rimasto qui. Abbiamo preso l'aereo ed anche questa volta mi sono stupita di come hostess e stewart siano sempre in qualche modo "belli". Hanno un aspetto quasi etereo, proprio come fossero forgiati, modellati dal vento, dall'aria, dalle nuvole che attraversano ogni giorno. Un'aria dignitosa, uno sguardo profondo che sembra volgersi lontano. Una gentilezza algida, non reale, non umana, inarrivabile. Movimenti sicuri e fludi anche mentre l'aereo balla tra le nubi.
Sono stati giorni rilassanti e stressanti al tempo stesso, perchè mia figlia si è ammalata quasi subito (il clima più umido e freddo?) e la casa (che non è quella della foto...magari lo fosse!) è abbastanza anti-bambino (con scala a portata di mano, camino, forno e fornelli accesi accessibili, cane e gatto socievoli solo fino ad un certo punto...). Eppure sono stata bene. Soprattutto al mattino presto, quando ancora gli altri dormivano ed io mi svegliavo per guardare fuori i luoghi familiari immersi nel silenzio, con in sottofondo il suono macinante e sempre uguale dell'orologio attaccato al muro.
Vicino alla nuova casa dei miei un tempo c'erano campi e prati, adesso un nugolo di case che cresce e si moltiplica ad ogni mia visita. Tra le nuove abitazioni è rimasta, come un'isola di un tempo passato, come se lì ci fosse un varco temporale per un'altra dimensione, una villa ormai disabitata, che non ero mai riuscita a vedere così da vicino come questa volta, proprio perchè un tempo non era possibile avvicinarsi così tanto. Leggende metropolitane della mia infanzia volevano che nel giardino della villa si celasse uno stagno con sabbie mobili pericolosissime. Gli alti alberi e le siepi che circondavano la casa impedivano di vedere dentro il giardino e ciò alimentava ancor di più la certezza che vi si nascondesse qualcosa di veramente terribile.
In questo mio soggiorno ho fatto una passeggiata con mia mamma e la bimba e, armata di macchina fotografica, sono riuscita finalmente ad immortalare la villa. Quest'estate avevo scrutato con timore e attrazione le fronde fitte che la nascondevano alla vista, una macchia di nero tra le luci troppo chiare delle case attorno. Ho fotografato anche ciò che resta di un vecchio fienile, che da bambina potevo vedere solo da lontano, perso nei campi. Le siepi e gli alberi della villa erano un brulicare di ballerine bianche, uccelli così esili ed eleganti dalla lunga e sottile coda (che mia nonna chiamava infatti codone), che sgranavano i loro cinguettii al nostro passaggio. Ce ne siamo stupite e rallegrate, indicandocele vicendevolmente. Ho riflettuto sul fatto che la mia capacità di stupirmi di fronte alla natura deriva in gran parte dai miei genitori e dai miei nonni. Sono loro che, con l'esempio, mi hanno insegnato a guardarmi intorno e a notare tutte le cose belle che mi circondano.
In questi giorni mi sono reimmersa in una realtà che non mi appartiene più, cercando di acciuffare ciò che di buono racchiude in sé. Ho allora ascoltato le chiacchiere di paese tra mia mamma ed una sua amica che era passata a trovarla. Ascoltavo la voce di questa signora, così quieta e monotona, che raccontava in modo cadenzato, morbido, quasi sussurrando. Cose senza importanza e minuscole, in verità. Eppure prestare attenzione e partecipare a questa piccola chiacchiera mi ha cullata. Questo piccolo mondo del paese, che tanto non sopporto, in quel momento, dall'esterno, è riuscito a rilassarmi, a farmi sentire tranquilla.
Non sono riuscita ad incontrare gli amici, per vari motivi, e mi sono dovuta limitare ad una lunga telefonata con una di essi per avere aggiornamenti e notizie dell'ultimo minuto. La permanenza forzata dentro casa mi ha però permesso di fare un po' di foto e di filmati e, soprattutto, rovistando in soffitta, di ritrovare il preziosissimo album di fotografie di mia nonna, che ormai da sette anni si andava cercando tra gli scatoloni ancora rimasti dal caos del trasloco e per cui mia mamma ed io ci disperavamo ogni volta. Mentre mia figlia saltava su e giù dal letto e mia madre cercava invano di tenerla calma, io, imperturbabile, mi guardavo il contenuto di questo album come fosse uno scrigno di tesori, ritrovando i volti bellissimi dei miei nonni a ventanni, quando, pur vestiti di abiti poveri, sembravano due luminosi attori del cinema in bianco e nero. Dietro ogni foto c'è annotato un piccolo numero. Lo scrissi io una notte di circa dieci anni fa, quando, dopo una scossa di terremoto, andai a dormire da mia nonna. Passammo la notte a guardare le foto ed io annotai su un quaderno tutto quello che lei si ricordava: chi c'era, dove erano, cosa era successo.
Ho poi camminato nel viale di platani su cui si affaccia il palazzo in cui ho vissuto da bambina, mentre la pioggia scendeva piano. Mentre i miei piedi calpestavano il letto di foglie cadute, sono stata assalita dai ricordi. La sensazione di quelle foglie è impressa nella memoria dei miei piedi. Ho avuto la certezza che in quella pioggia che cadeva morbida sull'ombrello di mia madre, in quel cielo lattiginoso, in quelle piante molli di pioggia erano racchiuse la mia infanzia e la mia adolescenza.
Come sempre, ne ho approfittato per sbirciare tra le librerie di mio padre, trovandovi un nuovo interessante acquisto: "Gli occhi della libertà" di Fabrizio Achilli, un libro fotografico sulla Resistenza vicino a Piacenza. Mi sono persa a guardare tutte quelle fotografie di un tempo che sembra ormai così lontano. Mi ha colpito una parte del testo in cui l'autore parlava dell'importanza non solo fisica, ma anche simbolica della montagna nell'ambito della Resistenza, e del suo legame strettissimo con la figura del partigiano. Veniva citato Calvino e si faceva riferimento all'esperienza partigiana come all'attraversamento di una soglia. Questo mi ha colpito perchè mi ha fatto tornare alla mente un racconto che avevo scritto anni fa e che avevo proprio inviato al Premio Calvino (sì, una volta in vita mia ho avuto il coraggio di farlo...poi non più...). Le riflessioni scaturite mi hanno portato a riprendere in mano alcuni libri: Fenoglio con "I ventitré giorni della città di Alba", "Il partigiano Johnny", "Primavera di bellezza", "Una questione privata" e "Una guerra civile" di Claudio Pavone, un saggio storico sulla moralità della Resistenza che avevo studiato per l'esame di Storia Contemporanea vari anni fa.
Certo gli ultimi giorni sono stati meno rilassanti, tutti un po' ammalati, chiusi in casa ed io, infine, ho iniziato a risentire l'esigenza di ritrovarmi nel mio ambiente, di tornare a quello che ormai è felicemente il mio mondo, di recuperare i miei spazi. Speravo solo che il mio secondo nipotino nascesse mentre noi eravamo lì, invece ha deciso di affacciarsi al mondo giusto un paio di giorni dopo la nostra partenza. Mi è toccato quindi vederlo solo in foto, mentre mia figlia, senza che io le avessi detto nulla, all'apparire dell'immagine ha esclamato "cuginetto!", lasciandomi basita a domandarmi se è capace di leggermi nel pensiero. Solo oggi, dopo vari giorni, in una giornata altrettanto piovosa e ventosa di quella che ha visto il nostro ritorno, sono riuscita a trovare un momento per fissare anche questi ricordi, prima che il tempo li afferri e li lasci fuggire via.