venerdì 27 aprile 2012

Le avventure della Sorelle Talpa

Torno dopo un po' di tempo a partecipare al Venerdì del Libro.
Questa volta voglio parlare di libri per bambini, di tre libretti speciali che ho acquistato qualche mese fa:
Le Sorelle Talpa e il mare di grano
Le Sorelle Talpa e il pezzo di muschio
Le Sorelle Talpa e il giorno di pioggia

L'autrice è Roslyn Scharwz e i libretti sono pubblicati da Edizioni Punto d'Incontro. Sono libri piccoli, maneggevoli, di una dimensione e formato che mi piace da morire, così come le illustrazioni che ne sono le protagoniste assolute, delicate, ma al tempo stesso vivaci, luminose e positive e le storie, che sono brevi, solo poche semplici frasi che accompagnano e sottolineano le immagini.
Ciò che pervade tutto - colori, storie, soggetti - è un inguaribile e tenero ottimismo, che fa vedere alle Sorelle Talpa ciò che di buono c'è in ogni cosa. Per me che spesso tendo a vedere il bicchiere mezzo vuoto piuttosto che mezzo pieno, questi libretti sono un piacere semplice per gli occhi e per l'anima.
La mia bimba è molto entusiasta delle illustrazioni e ogni volta che li sfoglio, lancia gridolini di gioia. Sono curiosa di vedere cosa penserà delle storie quando le potrà capire.
In lingua originale sono state pubblicate anche altre avventure delle Sorelle Talpa ed esiste un volume che ne racchiude dieci, che presto mi prenderò perchè, ripeto, le illustrazioni mi fanno impazzire per la tenerezza e per il mondo gioioso che sanno evocare. I testi in inglese sono molto semplici e quindi possono anche essere, a mio avviso, un ottimo modo per avvicinare i piccoli alla scoperta di questa lingua. Il volume si intitola The Complete Adventures of the Mole Sisters.

martedì 24 aprile 2012

Il sabato del film

Sono assente dal web da un po' di giorni. Ho iniziato il corso di specializzazione per il sostegno e, dovendo frequentare obbligatoriamente, il tempo che mi rimane è sempre poco.
Ne approfitto però oggi per parlare dei miei sabati, o meglio dei miei sabati sì e dei miei sabati no. Sì e no rispetto al "film".
Ogni due sabati, infatti, casa mia si riempie di una decina di persone coinvolte in un progetto cinematografico creato e portato avanti dal mio compagno con il fratello e due amici da qualche anno a questa parte, ovviamente tutto autoprodotto.
Una parte della mia casa è stata quindi adibita a set e io sono una specie di "locandiera" che il sabato cucina per la truppa. Il film permea la mia vita, in tutti i sensi, perchè il progetto coinvolge il mio compagno come fosse un secondo lavoro, in termini di impegno e fatica, ma con in più la dedizione che si ha nei confronti di ciò che si fa con e per passione.
Già in passato era capitato, perchè in precedenza avevano realizzato un altro lungometraggio, di un genere diverso da quello che stanno creando ora, che è stato premiato e selezionato in vari festival negli U.S.A.
Certo, aveva ancora dei limiti, era un frutto acerbo ed era di un genere che in Italia difficilmente trova consensi. Negli U.S.A. lo avevano definito "spaghetti sci-fi". In Italia il fatto che fosse autoprodotto non è piaciuto, mentre questo aspetto è stato molto apprezzato oltre oceano, dove (mi pare a Seattle) è stato sottolineato come i prodotti cinematografici italiani sono ormai ingessati in stereotipi e modelli incentrati sempre su alcuni argomenti e tematiche.
E' ovvio che anche larga parte del cinema statunitense è purtroppo una serie di prodotti commerciali, ma da loro sembra permanere ancora un certo spirito pioneristico.
Il film che il gruppo sta facendo ora è molto più complesso, anche tecnicamente parlando, si riallaggia al cinema del passato ed affronta temi diversi. E non vedo l'ora di vedere il risultato, perchè settimana dopo settimana vedo tanti piccolissimi mattoncini che se ne vanno al loro posto e, quindi, sono curiosissima di vedere cosa ne verrà fuori. Nel tempo mi sono affezionata ad ogni personaggio ed ora agli attori che li interpretano, come se fossero quasi una persona sola.
Proprio perchè credo in questo progetto, vi partecipo come posso, non solo cucinando, rinunciando spesso a tante occasioni di fare gite e passeggiate per non sottrarre tempo all'infinita mole di lavoro che deve affrontare il mio compagno, ma anche con qualche lavoretto creativo, come si può vedere dalle foto.
Ho realizzato queste tavolette come regalo di Natale - in ritardo - per il mio compagno, in parte in compagnia della piccola che osservava incuriosita mentre armeggiavo con pennelli e colori, in parte mentre dormiva, perchè la sua resistenza ad osservami non è eterna.
Comunque, riflettendo su cosa è la cultura per me (ne avevo parlato qui grazie ad un'iniziativa di ToWriteDown per la creazione di un Manifesto per riprenderci la cultura) e ripensando a questa esperienza del progetto del film, posso aggiungere che cultura per me è anche dedizione, passione, impegno per creare e dare vita a qualcosa in cui si crede fortemente. Questo film rientra, quindi, a mio avviso, indipendentemente da quello che succederà (o non succederà) al suo termine, in ciò che è definibile per me con il termine cultura.
PS: Lo so che quello rappresentato non è un astrolabio, ma hanno deciso comunque che quello era il logo e quello il nome. Il logo è la riproduzione di un oggetto che possediamo veramente e che è stato trovato buttato in un cassonetto.
So anche che le foto non sono di qualità, ma mia figlia stava attaccata alla mia gamba mentre scattavo...
Dimenticavo...sabato prossimo sarà uno dei sabati del film...cosa cucinerò???


giovedì 12 aprile 2012

Pizza di Kamut con bambina aggiunta

La scorsa settimana mi sono dedicata, cosa che faccio molto spesso, ad impastare la pizza. Questa volta ho provato con la farina di Kamut integrale, che già avevo sperimentato per la focaccia, ed il risultato è stato un sapore insolito rispetto a quello tradizionale, ma molto buono. L'impasto aveva una malleabilità maggiore e si stendeva più facilmente con il matterello. A cottura ultimata la pizza è risultata più friabile, forse più simile al pane. Ormai, quando metto l'impasto a lievitare, ho preso l'abitudine di coprire la ciotola con uno strofinaccio bagnato ed i risultati della lievitazione ed in generale della consistenza sono molto migliori di quando usavo la pellicola trasparente (almeno si inquina meno) o niente per coprirla.
Una piccola cosa ha però reso quel momento particolarmente bello e da ricordare. Infatti ho seguito il consiglio che Michela (grazie!)mi aveva dato qualche tempo fa: ho coinvolto la mia bambina nell'impasto! In un commento avevo detto a Michela che, quando sarebbe stata un po' più grande (visto che ora ha solo quasi un anno), avrei fatto partecipare mia figlia al momento di impastare pane o pizza. Lei mi ha suggerito di provare già ora a darle un pezzo da manipolare e da infornare con il resto. Così ho fatto ed è stato divertente per entrambe ed anche per il papà che poi ci ha fotografato anche nel momento dell'assaggio. Abbiamo infatti degustato tutti e tre la prima opera culinaria della piccola. Lei sembrava essere molto soddisfatta del risultato, dal momento che quando è finito si è messa a piangere disperata.
Sono felice di averlo fatto. Felice perchè impastare è un'operazione che mi riporta all'infanzia, a quando osservavo mia mamma o mia nonna. Per me era sempre un momento di festa quando si impastava ed il profumo della pizza - soprattutto quella! - si diffondeva per la casa. Mi piace, quindi, l'idea di coinvolgere in quello che spero sarà anche per lei un bel ricordo per il futuro.
Inoltre il fare il pane (o la pizza) in casa mi sembra un'azione carica di significati. E' qualcosa di antico, quasi ancestrale, e mi richiama ad una vita più naturale, in cui ancora si aveva tempo e modo per produrre da sé molto del cibo che si mangiava. Certo, non sempre si può avere il tempo di farlo, ma, in realtà, ho visto che il tempo da dedicarvi non è poi così tanto ed il pane, ad esempio, ha una durata decisamente maggiore di quello comprato, oltre alle ovvie differenze di sapore ed alla possibilità di variare farine e ingredienti aggiunti.
Vorrei cimentarmi nel pane a lievitazione naturale e ho acquistato un libro che suggeriva in questo post proprio Michela. Vediamo se riesco a ricavarmi un po' di tempo per tentare l'impresa...

venerdì 6 aprile 2012

Todo el amor

Da un po' di giorni volevo scrivere qualche riga a proposito di "Todo el amor" di Pablo Neruda. Amo molto le poesie di Neruda. Non solo quelle dell'impegno, ma anche quelle di questa raccolta, il cui titolo rivela già il tema. Si tratta di una antologia "personale" di poesie d'ispirazione amorosa, scelte ed ordinate dallo stesso Neruda.
Sono profondamente legata a questo libro. Anni fa leggevo e rileggevo le liriche che lo compongono e le leggevo anche al mio compagno nei primi anni della nostra storia.
Ho avuto modo di ripensarci la settimana scorsa, dopo essere stata alcuni giorni al mare con la bambina senza di lui, durante i quali mi è mancato molto.
Oltre al fatto che nella raccolta spesso compaiono il mare e l'isola, due luoghi simbolici e reali al tempo stesso che sento particolarmente "miei", c'è un aspetto di queste poesie che me le fa amare in maniera viscerale. Nel parlare d'amore Neruda fa spesso riferimento al pane, alla terra, alla farina, alle radici. E', credo, il modo più concreto ed al tempo stesso più sublime per parlare dell'amore, sostanza che nutre la nostra esistenza, senza la quale non possiamo vivere ed essere.
Non mi dilungo oltre, perchè credo sia inutile e riduttivo cercare di spiegare ciò che le poesie trasmettono a ciascuno di noi.
Solo alcuni versi.

Ho dormito con te
e svegliandomi la tua bocca 
uscita dal sonno
mi diede il sapore di terra,
d'acqua marina, di alghe,
del fondo della tua vita, 
e ricevetti il tuo bacio 
bagnato dall'aurora
come se mi giungesse
dal mare che ci circonda.
(da La notte nell'isola)

Per me sei un tesoro più colmo
d'immensità che non il mare e i grappoli,
e sei bianca e azzurra e vasta come 
la terra nella vendemmia.
In questo territorio,
dai tuoi piedi alla tua fronte,
camminando, camminando, camminando,
passerò la mia vita.
(da L'infinita)

Ma a te, senza muovermi, 
senza vederti, te distante,
vanno il mio sangue e i miei baci,
bruna e chiara mia,
alta e piccola mia,
ampia e sottile mia,
mia brutta, mia bellezza,
fatta di tutto l'oro
e di tutto l'argento,
fatta di tutto il frumento
e di tutta la terra
fatta di tutta l'acqua
delle onde marine,
fatta per le mie braccia,
fatta per i miei baci,
fatta per l'anima mia.
(da L'incostante)

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro.

giovedì 5 aprile 2012

La rivoluzione nei consumi è nel baratto

Oggi ho il piacere e l'onore di ospitare in questo mio spazio un contributo di Grazia di ToWriteDown sul tema del baratto.  Si tratta di un argomento che mi sta a cuore, ma che non ho ancora avuto modo di mettere in pratica con azioni concrete. L'esperienza diretta di Grazia, le sue impressioni e le sue motivazioni mi sembrano un'occasione preziosa per riflettere sul nostro modo di consumare e considerare gli oggetti, di cui ho già avuto modo di parlare in un precedente post.
Lascio allora la parola a Grazia, che ringrazio di cuore.

"Tamara mi ha chiesto di parlare della mia esperienza in ambito di decluttering e baratto: lo faccio molto volentieri, parlando prima di quelle che sono le considerazioni da cui sono partita per fare certe scelte.
Ogni tanto capita di leggere sui giornali, sul web o in televisione un titolo che recita, con poche varianti, così: rivoluzione nell’era dei consumi.
Ma quale può essere una vera rivoluzione nei consumi? Io spero che significhi sempre più spesso usare, ed abusare, delle tre R, quelle che stanno per reduce, reuse, recycle: riduci, riusa, ricicla.

Come si ricicla? Offrendo in regalo o in scambio gli oggetti che non utilizziamo più: e se il concetto di regalo, ossia donare senza chiedere nulla in cambio, è di immediata comprensione, il baratto a volte richiede qualche spiegazione in più.
Wikipedia ci viene in aiuto: in economia, il baratto è un'operazione di scambio bilaterale o multilaterale di beni o servizi fra due o più soggetti economici (individui, imprese, enti, governi) senza uso di moneta, nel diritto civile, il baratto viene classificato sotto la denominazione di permuta.
Il baratto è generalmente considerato la prima forma storica dello scambio commerciale di beni, e dunque ben anteriore alle forme di scambio monetario. Se ne volete la riprova, organizzate insieme ai bambini un mercatino: solitamente i più piccoli lo impostano come mercatino di scambio, senza utilizzo di denaro, perché nella loro esperienza è più divertente ricevere in cambio di una cosa che vogliono cedere qualcosa da utilizzare piuttosto che monetine.
Nel baratto, il valore dei beni oggetto dello scambio viene considerato sostanzialmente equivalente fra le parti. Nella valutazione, si utilizzano informazioni di natura qualitativa e quantitativa dei beni scambiati, facendo  considerazioni che dipendono dal vissuto e dalla percezione di ognuno, e che spesso richiamano ragioni di mutuo fabbisogno: difficilmente si utilizzano unità di misura che portano a monetizzare i beni stessi, ma, appunto, il tutto dipende da come si vive lo scambio.
Per raccontare come lo vivo io, faccio ancora un piccolo passo indietro e torno a un termine accennato all’inizio ma che forse richiede un approfondimento: il decluttering è una pratica inglese (dal termite clutter, disordine) che porta ad eliminare le cose inutili, il superfluo che ci circonda e arrivare a recuperare l’essenziale.
Raccontato in questi termini mi accorgo che è molto poetico, tanto che esistono anche teorie psicanalitiche che lo consigliano quando alcune patologie portano a non buttare via nulla. In una intervista, Maria Rita Parsi spiega che questo atteggiamento è tipico di chi non vuole separarsi dal passato: “Bisogna però distinguere tra l’oggetto tenuto come ricordo, ma che rappresenta una situazione ormai interiorizzata, e quello che invece conserviamo perché ci permette di non chiudere con una parte di passato che non abbiamo ancora risolto”.
Personalmente sono arrivata a questa pratica dopo due traslochi ravvicinati, che mi hanno portato ad accumulare scatoloni su scatoloni, e dopo il mio bimbo, giunto completo di tutta l’attrezzatura (per lo più inutile) a corredo. Fare pulizia è stato semplice: molti scatoloni li ho sballati a distanza di settimane e nel farlo mi accorgevo che alcune cose potevo lasciarle dove erano, perchè se non mi erano servite per diverse settimanae non mi sarebbero servite nelle prossime, mentre le cose che mio figlio non ha più usato nel tempo (dagli abiti ai giochi) poteva essere destinato ad altri bambini.
Il primo passo per la liberazione non è però stato il baratto: prima ho percorso la via della donazione, cercando persone con bambini più piccoli del mio, ad esempi, in famiglia e tra il vicinato, e quella di Ebay.
Una precisazione: quando parlo di donazione non intendo in senso caritatevole, con destinatari solo famiglie bisognose. O meglio, magari queste capitano, e mi fa piacere aiutarle, ma il fine che perseguo nell’offrire beni ancora utilizzabili non è quello di fare beneficienza, è piuttosto quello di dare una seconda possibilità ai miei oggetti.
Lo preciso perché nella mia esperienza ho trovato molti ostacoli culturali al baratto derivanti proprio dall’intendere questa pratica legata a enti di beneficienza o comunque a situazioni di indigenza: di certo molte persone in difficoltà economica percorrono anche questa strada, ma non per questo il baratto va considerata come una cosa che una famiglia senza alcun problema economico, se non benestante, non deve avvicinare. Io piuttosto considererei la cosa da un punta di vista etico e ambientale: meglio spendere un po’ del proprio tempo per trovare una nuova casa ai propri oggetti in buono stato piuttosto che lasciare che gli stessi vadano a ingigantire le nostre già oberate discariche.
Per quanto riguarda l’esperienza con Ebay, la vendita di oggetti è stata per me una pratica faticosa: forse perché non ho un’anima da commerciante, forse perché prediligo il rapporto umano e la condivisione piuttosto che la compravendita, forse perché non sopporto la malafede, mi sono trovata in situazioni di cui preferivo fare a meno.
Poi ho scoperto Zerorelativo alla fiera milanese Fa’ la cosa giusta e ho trovato la soluzione ideale: Zerorelativo, ZR in breve è una piattaforma di baratto, riuso e prestito gratuito che permette alle persone che si iscrivono gratuitamente di mettersi in contatto per barattare, prestare gratuitamente e donare oggetti e prestazioni.
Molte informazioni sul funzionamento di ZR le trovate in un mio articolo, qui riporto qualche mia esperienza più interessante. Purtroppo non ho chiesto preventivamente alle persone di cui parlo l’autorizzazione a citarle, per cui ne parlerò in forma anonima:
-      ogni barter (neologismo coniato da ZR per indicare chi partecipa attivamente agli scambi) ha a disposizione una propria pagina su ZR, dove pubblicare i propri annunci, con foto e descrizione, un po’ in stile Ebay. Inoltre è possibile inserire una lista dei desideri dove elencare, con varie priorità, le cose che si cercano: è un segno di buona educazione leggere tale lista per offrire qualcosa di adeguato quando si chiede qualcosa della vetrina, ma non è un obbligo. Personalmente trovo difficile gestire chi vedendo qualcosa da me mi scrive “passa da me” o “guarda da me” e poi mi ritrovo a dover scorrere una vetrina con 200 e passa annunci: preferisco che il barter che mi contatta abbia già visto cosa cerco e mi segnali cosa può offrirmi di suo in cambio;
-      i messaggi che i barter si scambiano sono pubblici, ossia visibili a tutti. Questo è per me un grande punto di forza di ZR, quello che lo differenzia da altri siti di baratto che hanno la messaggistica privata: mi basta andare sulla pagina di un barter, scorrere i suoi annunci e vedere come risponde alle richieste che gli vengono fatte per capire se sarò in sintonia con lui, se desidero condividere parte del mio tempo o se penso già che non ci troveremo. Esistono anche i feedback che i barter si possono scambiare a scambio avvenuto: dalla mia esperienza questi sono molte volte lasciati con toni troppo entusiastici, mi sono capitati barter con feedback molto positivi che si sono rivelati poi poco empatici e poco disponibili. Ecco perché preferisco giudicare dal tono dei messaggi;
-      solo a scambio avvenuto (uno offre e l’altro accetta) il sistema invia via mail i contatti privati dei barter ad entrambi, per accordarsi:numero di telefono, mail e indirizzo. A questo punto i barter dovrebbero essersi già accordati su come scambiare, a mano (se vivono vicino o hanno un tramite, come spiego più avanti) oppure utilizzando dei servizi postali. I costi di spedizione sono piuttosto cari in Italia ed è per questo che molti barter scambiano solo se trovano una controparte disposta a fare “scambi cumulativi”: con questa locuzione si intendono scambi di più cose per più cose (così da ammortizzarla spesa di spedizione) oppure scambi di più barter di una stessa città verso più barter di un’altra città (così da dividere le spese di spedizione). Oramai esistono dei gruppi collaudati di barter milanesi che scambiano con barter torinesi, genovesi, romani, siciliani e così via;
-      parlando di spedizioni, ZR ha fatto un accordo con un corriere e offre tariffe agevolate al barter: non ho mai potuto usufruire di queste agevolazioni in quanto il servizio prevede la presa diretta del corriere a casa del mittente e io purtroppo, lavorando, nelle fasce orarie di ritiro non sono mai a casa;
-      grazie a molti felici incontri, oggi esiste a Milano una rete di barter che organizza incontri durante i quali ci si scambia oggetti come da accordi presi su ZR oppure con veri e propri mercatini. Ci si trova ovunque, quotatissime sono le fermate di interscambio tra le linee della metropolitana e le stazioni ferroviarie (per facilitare chi arriva dall’hinterland). Ogni tanto ci si trova anche a casa di qualcuno, o meglio dovrei dire qualcun: perché il gentil sesso è molto più attivo e numeroso;
-      nel tempo si è creata la figura del barter viaggiante (su ZR esiste anche una categoria dove postare annunci): in pratica un barter che magari ha in programma un viaggio di piacere o si muove spesso per lavoro si mette a disposizione per trasportare beni da scambiare da una località all’altra, evitando spese postali inutili e facilitando i contatti. Solitamente questi servizi vengono resi gratuitamente, ma personalmente quando ne ho fatto uso ho cercato di ricambiare il favore in altre occasioni o di offrire qualche oggetto in cambio del favore stesso;
-      ci sono persone con cui scambio oramai sulla fiducia: se so che a loro interessa qualcosa di mio ma al momento non hanno nulla da offrirmi in cambio e ho l’occasione già d i incontrarli, volentieri “anticipo” l’oggetto. Non ho mai ricevuto delusioni in tal senso;
-      anche ZR è una comunità e come tutte le comunità ha le sue pecore nere: persone che forse non sono nel giusto spirito del sito e che forse non lo saranno mai. Ma è una comunità libera e dopo un primo scambio, che magari permette di chiarirsi le idee sulla persona, non si è certo obbligati a ripetere l’esperienza.

I miei scambi del cuore? Sono tanti, ma per questo articolo con il quale spero di avervi interessato al baratto e invogliato a partecipare, ve ne elenco cinque:
- un week end nelle Langhe per me, marito e figlio, ospiti di una bellissima famiglia in una casa colonica di campagna. Ospiti in tutti i sensi, con vitto, alloggio e visita guidata nei dintorni. In cambio di una piastra per capelli (ovviamente usata);
- un massaggio ayurvedico per mio marito in cambio di un CD di Elisa;
- due quadri (che ora mi osservano appoggiati al mobile della mia sala) di una artista che ammiro molto e che è molto attiva su ZR dove scambia soprattutto libri e, occasionalmente, alcune sue opere. In cambio di un forno a microonde e di diversi prodotti dolciari (che avevo ricevuto in regalo ma che non amo);
- le creme e i saponi handmade di quattro barter diverse, con le ricette e le spiegazioni per realizzarmele da sola, che mi hanno permesso un annetto fa di risolvere la dermatite atopica di mio figlio. In cambio, se non ricordo male, di un vaso blu, un gioco di mio figlio, di collant, di dolci. Le “spignattatrici” su ZR sono molto attive e molto disponibili a condividere i loro segreti;
- la prestazione di un elettricista che è venuto a montare i variatori di luce nel mio precedente appartamento in cambio di alcune bottiglie di vino.
Concludo con una frase che ho letto proprio oggi su ZR, testimonianza di una barter soddisfatta: il bello degli scambi non è solo l’oggetto in sé ma le persone che conosci e con le quali nascono belle amicizie."

mercoledì 4 aprile 2012

Giornata Internazionale del lavoro invisibile

Ieri, 3 aprile, è stata la Giornata Internazionale del lavoro invisibile. Non si tratta del lavoro nero, ma del lavoro svolto in casa a favore della famiglia, prevalentemente dalle donne, e che non rientra nel limitato e fuorviante calcolo del Pil.
L'iniziativa è nata nove anni fa (o dodici, non sono riuscita ad appurarlo con certezza) in Canada e viene celebrata il primo martedì del mese di aprile.
L'ho scoperta per caso e avrei voluto parlarne ieri, ma non ci sono riuscita anche a causa dei dentini che stanno spuntando alla mia bambina e che l'hanno fatta piangere ed essere agitata per gran parte del giorno.
Qui e qui si trovano alcune informazioni sulle iniziative promosse per la giornata dal Moica (Movimento italiano casalinghe), in particolare dalla sezione delle Marche, che ad Osimo ha contribuito a realizzare una mostra cine-fotografica dal titolo "Dietro la porta chiusa", aperta fino al 6 aprile.
Perchè mi sono interessata a questa giornata? Non solo perchè in questo periodo mi ritrovo ad essere principalmente una casalinga (pur continuando a fare lavori di battitura testi e a studiare per tornare ad insegnare), ma anche perchè è giunto il momento per me di fare i conti proprio con questa parola - CASALINGA -, che per anni è stata la fonte di tante paure ed ansie e per riattribuirle un nuovo valore. Mi spiego meglio e, per farlo, devo un po' uscire allo scoperto.
Mia madre è casalinga ed io, pur volendole molto bene, col tempo ho attribuito al suo essere casalinga tutta una serie di pensieri ed atteggiamenti in cui non mi riconoscevo e che non avrei mai voluto avere. Niente di male, certo, ma il problema è che per me l'idea di diventare una casalinga con il passare degli anni era diventato un incubo. Nei miei anni di precariato, in cui, come ho scritto altrove, mi sono ritrovata a svolgere lavori che avevano a che fare con l'educazione, il pensiero fisso era di trovare un lavoro stabile per non dover essere casalinga. In quest'ottica il pensiero di un figlio era per me qualcosa di impensabile, perchè lo vedevo come la fine di ogni possibile lavoro, inconciliabile con la realizzazione professionale. Nel momento in cui una vocina dentro di me aveva iniziato a dirmi che forse era il momento di avere un figlio (il famoso orologio biologico), razionalmente io ho affermato fortemente che non era assolutamente il momento per averlo, fino a quando anche la mia mente ha dovuto cedere a quello che desiderava il mio cuore. Tanto è vero che molti conoscenti si sono stupiti di sapere che avevamo deciso di avere un bambino.
Durante la gravidanza sono stata ancora a lungo vessata da quel pensiero e solo nell'ultimissimo periodo sono riuscita a godermi il fatto di stare a casa (poco prima che scattasse la maternità obbligatoria, minacce di parto prematuro mi hanno costretta a rimanere a casa da scuola dove lavoravo per una supplenza).
Poi è nata la mia bambina. Sono seguiti mesi caotici, strani, bellissimi e faticosi. In questi mesi piano piano quel pensiero fisso si è affievolito ed è passato. Ho riscoperto il valore che si cela dietro l'accudimento della propria casa e della propria famiglia e sono stata felice di avere avuto la fortuna di permettermi di rimanere a casa grazie al lavoro del mio compagno.
Tutto questo mi ha portato a riflettere sulla posizione della donna e sul lavoro. E' stato calcolato che il lavoro invisibile produce, in maniera virtuale, un terzo del Pil italiano ed il Moica richiede che venga inserito nel calcolo del Pil.
Complice - credo - la lettura dei testi di Latouche sulla decrescita, io non sono d'accordo con il Moica. O, meglio, non sono d'accordo sul Pil, che viene considerato generalmente indice del benessere, ma che è in realtà commisurato al nostro consumo di merci e che calcola la nostra felicità attraverso il valore monetario. Esiste un altro indice, in uso dal 1995, il Gpi (Genuine Progress Indictor), che tiene conto anche del lavoro domestico e del volontariato in termini monetari. Non so se questo sia sufficiente a prendere in oconsiderazione il lavoro domestico, ma non credo.
Sta di fatto che il lavoro che si svolge per la casa e per la famiglia non viene considerato un lavoro perchè non produce. E' così che il mondo in cui viviamo ci costringe a concepirlo e a ciò siamo abituati fin da piccoli.
Una donna che lavora sembra avere più valore di una che sta solo a casa.
Oggi come oggi desidero comunque tornare a lavorare ed ho scelto di seguire quella che penso sia la mia strada - anche se ancora lunga -, quella dell'insegnamento, che spero mi permetterà anche di stare un po' con mia figlia. Al tempo stesso ho fatto pace con me stessa e con la parola "casalinga", riscoprendone il valore e l'estrema ricchezza.
La decisione ed il cambiamento rispetto al lavoro sono arrivati proprio con la mia bambina. Stavo cercando lavoro ed al tempo stesso mi stavo preparando per il test di ammissione al corso di laurea per l'insegnamento. Inaspettatamente un colloquio era andato bene e dovevo iniziare a lavorare in una gioielleria. Ho saputo però di essere incinta ed ero felicissima di esserci riuscita così velocemente. Non me la sono sentita di non dire nulla al mio futuro datore di lavoro e così, prima della firma del contratto, per onestà gliel'ho detto, dichiarandomi comunque disponibile a lavorare. Ovviamente sono stata ringraziata e del contratto non se n'è fatto più nulla. Sono contenta così. Contenta di essere stata onesta - per alcuni sciocca - e contenta perchè, oltre ad avere la mia bambina, ho potuto fare il test ed incominciare questo nuovo percorso di studio per tornare ad insegnare.
Chiudo con un nitido ricordo della mia infanzia. Quando frequentavo la scuola materna, mia madre mi veniva sempre a prendere per l'ora di pranzo. Ricordo perfettamente lo sguardo triste e un po' invidioso di coloro che dovevano rimanere ancora perchè le loro madri erano al lavoro e la mia gioia che scoppiava in petto all'idea che io invece potevo andare a casa con la mia mamma, facendomi sentire fortunata e privilegiata, oltre che provare pena per i compagni rimasti a guardarmi mentre mi allontanavo.
Spero di raggiungere una giusta via di mezzo con mia figlia.

lunedì 2 aprile 2012

Il Mercato della Terra

Da un po' di tempo nel paese in cui vivo, ogni prima domenica del mese si tiene il Mercato della Terra. Si tratta di un progetto di Slow Food che ha luogo già in varie città e paesi d'Italia e non solo, in cui si può riscoprire la bellezza e la ricchezza di comprare prodotti locali, a km 0, freschi, spesso biologici, comunque di stagione, conoscendo direttamente i produttori ed incontrando anche altre persone interessate ad un modo di vivere più sano, naturale, in armonia con la natura e l'avvicendarsi delle stagioni.
Per vari motivi avevo saltato gli appuntamenti precedenti, ma questa volta non volevo proprio mancare. Mi sono quindi data appuntamento con un'amica e mi sono avventurata alla scoperta del Mercato della Terra. Era pieno di gente e di famiglie con bambini. Ho trovato amici che erano presenti in quanto membri di un'associazione che ha promosso l'iniziativa, ho incontrato la signora presso il cui negozio biologico compro la pastina e i legumi per la bambina e per noi. Conoscevo già molti dei produttori locali, ma ne ho scoperti altri. Si tenevano laboratori di pasta al sale per i bambini ed altri di degustazione per adulti. C'erano latte fresco imbottigliato la mattina stessa, yogurt di capra, mieli di vario tipo, altri formaggi, ortaggi vari e freschissimi, pane e dolci tipici pasquali, farine di vario tipo.
Con la mia amica ci siamo informate sulle modalità di adesione ad un GAS del paese vicino ed anche per l'affitto di un orto non lontano da casa mia. Nel mio giardino ho già allestito lo spazio per l'orto e vi ho già coltivato vari prodotti le scorse stagioni, ma, ad esempio, per zucche, patate ed altri ortaggi avrei bisogno di ulteriore spazio ed un orto in comune potrebbe essere una soluzione. Abbiamo parlato con chi gestisce il terreno per gli orti in affitto ed abbiamo scoperto che ha anche intenzione di creare all'interno del terreno uno spazio comunitario con tavoli e forno per permettere la socializzazione tra gli affittuari.
E' stata una domenica mattina piacevole, colorata, gustosa (ho assaggiato vari formaggi...) e sono tornata a casa carica di verdure e idee.

N.B.: la foto con le verdure non è mia e non si riferisce al Mercato del mio paese, ma l'ho trovata qui. Le altre due immagini sono prese dal sito dei Mercati della Terra che ho segnalato ad inizio post.

domenica 1 aprile 2012

Il tempo dei bambini

Dopo aver trascorso alcuni giorni al mare, dove ho rivisto dopo quasi tre anni mio fratello, mia cognata e mia nipote, e dopo aver osservato mia figlia e ia nipote giocare sulla spiaggia, ho deciso di riportare alcune riflessioni che galleggiavano nella mia mente da un po'.
Girovagando tra blog e siti di mamme ed insegnanti, in questi ultimi mesi ho avuto modo di vedere tanti bellissimi e fantasiosi lavori creativi da fare con i bambini. Stimolanti, colorati, utili, capaci di sviluppare competenze ed abilità manuali e non. Insomma, tante volte mi sono ritrovata a pensare a quando anch'io potrò coinvolgere la mia piccola in qualcosa del genere, perchè penso siano esperienze che arricchiscano entrambe e che lascino il segno. Ma... C'è un ma. Riflettevo sul tempo dei bambini. Nel mondo occidentale di oggi il tempo dei bambini è ridotto, compresso, serrato in ritmi, orari, attività. Scuola, inglese, danza, calcio, ripetizioni, ecc. Lo spazio ed il tempo lasciato al gioco libero, spontaneo del bambino è logorato sempre più da una scansione che diviene simile a quella delle giornate frenetiche degli adulti. Questo modello di vita, fatto di una corsa tra un impegno e l'altro, ha ormai permeato anche l'infanzia. La vita dei bambini è stata adultizzata ed il loro tempo "libero" è spesso libero solo a parole.
Non vorrei un tempo così per mia figlia, così come non lo vorrei per me. Ovviamente le attività ed i lavoretti da fare con i bambini rientrano in un altro modo di condividere il tempo con i propri figli, tuttavia penso che non si debba "abusare" neppure di questo tempo.
Credo sia bello e formativo anche lasciare ai bambini il proprio tempo, la libertà di scegliere di oziare e come oziare, perché a volte l'ozio, inteso in senso positivo, penso possa essere creativo e aprire la mente.
A tal proposito ho avuto modo di leggere il contributo di Milena Gammaitoni ad una conferenza sul tema del rapporto fra infanzia e società, nel quale parla brevemente della figura di Lou Andreas Salomè, scrittrice, musa ispiratrice di Nietzche e di Rilke, allieva e collaboratrice di Freud, con riferimento particolare ai suoi ricordi d'infanzia ed alle sue riflessioni in proposito.
Mi sono piaciute in particolare queste parole: " La creatività, la fantasia del bambino, spiega Salomè, non si maturano solo nell'azione, nel conseguire un risultato immediato e materiale, pratico, bensì nel diritto alla contemplazione, alla solitudine, all'elaborazione fantasiosa della propria identità, ciò che viene spesso negato da genitori, insegnanti, da tutti coloro che hanno un compito di socializzazione, di protezione e controllo del bambino. Lo si nega perché questo è un lavoro  che non appare fisicamente, e in una civiltà sempre più materialistica, il lavorio solitario e la creatività fantasiosa, catartica, anche oziosa, non possono essere apprezzate, né concepite." (Tratto da "Per un'idea di bambini", a cura di M. D'Amato, Armando Editore, Roma, 2008)

Mi sono ritrovata pienamente in queste riflessioni e ho avuto modo di ripensare anche alla mia infanzia. Nella mia mente si sono impressi in maniera indelebile alcuni lavoretti fatti con mio nonno materno, per esempio le statuine di creta plasmate con la terra trovata nell'orto o la raffigurazionesu un foglio di carta di un orologio fatto con filo colorato, perline e colla. Le statuine di creta, in particolare, sono divenute nel tempo uno dei simboli della mia infanzia e, anche se so perfettamente che il tempo le ha distrutte rapidamente, è come se esse fossero ancora lì dove le ho lasciate, in un luogo fuori dal tempo. Questo mi fa capire l'importanza di questi momenti di creazione che avvicinano adulti e bambini, il significato che possono assumere agli occhi di un bambino, la loro preziosità nella formazione della personalità.
Al tempo stesso, però, ricordo anche i lunghi momenti in cui potevo giocare, sognare, correre liberamente, senza  nessuno che decidesse per me come passare il  mio tempo. In quei frangenti pensavo tanto, immaginavo, plasmavo inconsapevolmente il mio io futuro sui miei sogni.
Ben vengano allora i lavoretti con mia figlia quando sarà più grande, ma senza dimenticare di lasciarla anche libera di sognare, di  fare e di essere ciò che le permetterà di sentirsi davvero se stessa.